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Wednesday, January 06, 2021

 

I MAGI E L’ADORAZIONE



“Ti adoro devotamente o nascosta divinità che sotto queste apparenze ti celi veramente” (dall’inno “Adoro Te devote “ di san Tommaso d’Aquino)

Questo grande avvenimento dell’incontro dei Magi con il Bambino Gesù ci ricorda che il fine della nostra ricerca umana è l’adorazione. L’uomo saggio utilizza tutta la sua vita come occasione di adorare. Cioè innalzare un canto di lode a Dio perché ha creato l’uomo  e l’intero universo. E’ un grande mistero: ma è un grande mistero di Amore. Sempre san Tommaso d’Aquino diceva che “Il  Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei”.  Ha condiviso la nostra condizione umana, eccetto che per il peccato, non solo per redimerci ma anche per “sperimentare” cosa comporta la nostra esistenza sulla terra.  La più grande lode che Gesù manifesta al Padre, mosso dallo Spirito Santo è riportata nel Vangelo di Matteo «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. (Matteo 11,25)

Il poeta Mario Luzi si è espresso cosi :

"Padre mio, mi sono affezionato alla terra
quanto non avrei creduto.
È bella e terribile la terra.
Io ci sono nato quasi di nascosto,
ci sono cresciuto e fatto adulto
in un suo angolo quieto
tra gente povera, amabile e esecrabile.
Mi sono affezionato alle sue strade,
mi sono divenuti cari i poggi e gli uliveti,
le vigne, perfino i deserti.
                                                                È solo una stazione per il figlio Tuo la terra
ma ora mi addolora lasciarla
e perfino questi uomini e le loro occupazioni,
le loro case e i loro ricoveri
mi dà pena doverli abbandonare. Il cuore umano è pieno di contraddizioni
ma neppure un istante mi sono allontanato da te
(Via Crucis al Colosseo)

I Magi per primi hanno vissuto questa dimensione essenziale della nostra condizione umana: l’adorazione. Non hanno camminato e vissuto inutilmente. Non si sono fermati alle sole informazioni e nemmeno si sono accontentati delle loro conoscenze piu o meno scientifiche. Alla fine ciò che li ha orientati in modo decisivo è stata la “stella” della Sapienza a cui si sono affidati

Uno dei più grandi poeti scrittori dell’epoca moderna Thomas Eliot lo esprime in versi poetici, mettendoci in guardia dai rischi della nostra cosiddetta civiltà dell’informazione. Anche se con le ultime tecnologie è divenuta “globale”, “democratica” e “attenta” a non ferire nessuno, ciò non toglie che da sola o anche unita a una più profonda conoscenza non è in grado di arrivare alla meta finale: la vita eterna con la V maiuscola.

Tutta la nostra conoscenza ci porta più vicini alla nostra ignoranza,
Tutta la nostra ignoranza ci porta più vicino alla morte.
Ma più vicino alla morte, non più vicini a Dio.
Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo?
Dov’è la saggezza che abbiamo perduto sapendo?
Dov’è la sapienza che abbiamo perduto nell’informazione?
(dai "Cori da 'la Rocca")


Tuesday, April 28, 2020


La risurrezione dischiude lo spazio nuovo
[Joseph Ratzinger Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, pp. 304 – 307]

La risurrezione è un fatto avvenuto nella storia, che la apre al di là di se stessa e crea il definitivo

 Giotto. Resurrezione nel 2020 | Arte religiosa, Arte cristiana ...
«Bisogna anche affrontare la questione circa la risurrezione quale avvenimento storico. Da una parte, dobbiamo dire che l’essenza della risurrezione sta proprio nel fatto che essa infrange la storia e inaugura una nuova dimensione che noi comunemente chiamiamo la dimensione escatologica. La risurrezione dischiude lo spazio nuovo che apre la storia al di là di se stessa e crea il definitivo. In questo senso è vero che la risurrezione non è un avvenimento storico dello stesso genere della nascita o della crocifissione di Gesù. Essa è qualcosa di nuovo, un genere nuovo di evento.

Bisogna, però, al tempo stesso prendere atto del fatto che essa non sta semplicemente al di fuori o al di sopra della storia. Come eruzione dalla storia che la supera, la risurrezione prende tuttavia il suo inizio nella storia stessa e fino a un certo punto le appartiene. Si potrebbe forse esprimere tutto questo così: la risurrezione di Gesù va al di là della storia ma ha lasciato la sua impronta nella storia. Per questo può essere attestata da testimoni come un evento di una qualità tutta nuova.
Di fatto, l’annuncio apostolico col suo entusiasmo e con la sua audacia è impensabile senza un contatto reale dei testimoni con il fenomeno totalmente nuovo e inaspettato che li toccava dall’esterno e consisteva nel manifestarsi e nel parlare del Cristo risorto. Solo un avvenimento reale di una qualità radicalmente nuova era in grado di rendere possibile l’annuncio apostolico, che non è spiegabile con speculazioni o esperienze interiori, mistiche. Nella sua audacia e novità, esso prende vita dalla forza impetuosa di un avvenimento che nessuno aveva ideato e che andava al di là di ogni immaginazione.

Alla fine, però, per tutti noi rimane sempre la domanda che Giuda Taddeo rivolse a Gesù nel cenacolo: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?” (Gv 14,22). Sì, perché non ti sei opposto con potenza ai tuoi nemici che ti hanno portato sulla croce? Così vorremmo domandare. Perché non hai con vigore inconfutabile dimostrato loro che tu sei il Vivente, il Signore della vita e della morte? Perché ti sei mostrato solo a un piccolo gruppo di discepoli della cui testimonianza noi dobbiamo ora fidarci?… E’ proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso… Patisce e muore e, come Risorto, vuole arrivare all’umanità soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta. Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di “vedere”…
Ma non emana forse da Gesù un raggio di luce che cresce lungo i secoli, un raggio che non poteva provenire da nessun semplice essere umano, un raggio mediante il quale entra veramente nel mondo lo splendore della luce di Dio? Avrebbe potuto, l’annuncio degli apostoli, trovar fede ed edificare una comunità universale, se non avesse operato in essi la forza della verità?

Se ascoltiamo i testimoni col cuore attento e ci apriamo ai segni con cui il Signore accredita sempre di nuovo loro e se stesso, allora sappiamo: Egli è veramente risorto. Egli è il Vivente. A Lui ci affidiamo e sappiamo di essere sulla strada giusta. Con Tommaso mettiamo le nostre mani nel costato trafitto di Gesù e professiamo: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28)»
 
L’ eco di questo di questo avvenimento, partito da Gerusalemme venti secoli fa, continua a risuonare nella Chiesa, che porta viva nel cuore la fede di Maria, la Madre di Gesù, la fede di Maddalena e della altre donne, che per prime videro il sepolcro vuoto, la fede di Pietro e degli altri Apostoli.
Fino ad oggi – anche nella nostra era di comunicazioni ultratecnologiche – la fede dei cristiani si basa su quell’annuncio, sulla testimonianza di quelle sorelle e di quei fratelli che hanno visto prima il masso rovesciato e la tomba vuota, poi i misteriosi messaggeri i quali attestavano che Gesù, il Crocifisso, era risorto, quindi Lui stesso, il Maestro e Signore, vivo e tangibile, apparso a Maria di Magdala, ai due discepoli di Emmaus, infine a tutti gli undici, riuniti nel Cenacolo in quella prima Domenica della storia.

La risurrezione di Cristo non è il frutto di una speculazione, di un’esperienza mistica: è un fatto, un avvenimento, che certamente oltrepassa la storia, ma che avviene in un momento preciso della storia e lascia in essa un’impronta indelebile. La luce che abbagliò le guardie per vigilare il sepolcro di Gesù ha attraversato il tempo e lo spazio. E’ una luce diversa, divina, che produce in continuità un di più di umanità in chi lo testimonia rendendo credibile il suo annuncio, una luce che sola ha squarciato le tenebre della morte e del peccato e ha portato nel mondo lo splendore di Dio che ama e che perdona, lo splendore della Verità, del Bene. La Risurrezione di Cristo dà forza e significato ad ogni speranza, ad ogni attesa, desiderio, progetto. L’alleluia pasquale, che risuona nella Chiesa pellegrina nel mondo, esprime l’esultanza silenziosa dell’universo, e soprattutto l’anelito di ogni anima umana sinceramente aperta a Dio, anzi, riconoscente per la sua infinita bontà, bellezza e verità.

Nella tua risurrezione, o Cristo gioiscano i cieli e la terra”. A questo invito alla lode, che si leva nella cinquantina pasquale dal cuore della Chiesa, i “cieli” rispondono pienamente: la schiere degli angeli, dei santi e dei beati e di quanti si uniscono unanimi alla nostra esultanza. In Cielo, cioè nella zona di Dio, tutto è pace.

 Ma non è così, purtroppo ancora sulla terra! “Qui, in questo nostro mondo – ha detto Benedetto XVI nella Benedizione Urbi et orbi – l’alleluia pasquale contrasta ancora con i lamenti e le grida che provengono da tante situazioni dolorose: miseria, fame, malattie, guerre, violenze. Eppure, proprio questo Cristo è morto ed è risorto! E’ morto anche a causa dei nostri peccati di oggi, ed è risorto anche per la redenzione della nostra storia di oggi: Perciò, questo messaggio vuole raggiungere tutti e, come annuncio profetico, soprattutto i popoli e le comunità che stanno soffrendo un’ora di passione, perché Cristo risorto apra loro la via della libertà, della giustizia e della pace”.


Sunday, April 19, 2020


“Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto hanno creduto”
di Ignace de la Potterie
 articolo comparso su 30 GIORNI del 1997. In riferimentoalla proposta CEI di una nuova traduzione di Gv 20,29
. 

Due aspetti ci preme mettere in rilievo: anche in questa versione riveduta, le parole di Gesù vengono tradotte con un’imprecisione, rispetto all’originale greco. E tale imprecisione viene di fatto utilizzata per confermare con l’autorità del Vangelo un’impostazione che sembra prevalente nella Chiesa di oggi: l’idea che la vera fede sia quella che prescinde totalmente dai segni visibili. L’errore di traduzione a cui pensa di poter appoggiarsi tale interpretazione, che di fatto travisa il passo evangelico, consiste nel tradurre al presente il rimprovero di Gesù: “Beati coloro che credono, pur senza aver visto”. In questo modo le parole vengono trasformate in una regola di metodo valida per tutti coloro che vivono nei tempi successivi alla morte e risurrezione di Gesù. E infatti la nota [1] spiega che solo per i contemporanei di Gesù “visione e fede erano abbinate”, mentre per tutti coloro che vengono dopo, “la normalità della fede poggia sull’ascolto, non sul vedere”. Secondo questa interpretazione sembra quasi che Gesù si opponga al naturale desiderio di vedere, chiedendo a noi una fede fondata solo sull’ascolto della Parola. In realtà, qui il verbo non è al presente, come viene tradotto. Nell’originale greco il verbo è all’aoristo (πιστεύσαντες), anche nella versione latina era messo al passato (crediderunt). “Tu hai creduto perché hai visto” - dice Gesù a Tommaso - “beati coloro che senza aver visto [ossia che senza aver visto me, direttamente] hanno creduto”. E l’allusione non è ai fedeli che vengono dopo, che dovrebbero “credere senza vedere”, ma agli apostoli e ai discepoli che per primi hanno riconosciuto che Gesù era risorto, pur nell’esiguità dei segni visibili che lo testimoniavano. In particolare il riferimento indica proprio Giovanni, che con Pietro era corso al sepolcro per primo dopo che le donne avevano raccontato l’incontro con gli angeli e il loro annuncio che Gesù Cristo era risorto. Giovanni, entrato dopo Pietro, aveva visto degli indizi, aveva visto la tomba vuota, e le bende rimaste vuote del corpo di Gesù senza essere sciolte, e pur nell’esiguità di tali indizi aveva cominciato a credere. La frase di Gesù “beati quelli che pur senza aver visto [me] hanno creduto” rinvia proprio al “vidit et credidit” riferito a Giovanni al momento del suo ingresso nel sepolcro vuoto. Riproponendo l’esempio di Giovanni a Tommaso, Gesù vuole indicare che è ragionevole credere alla testimonianza di coloro che hanno visto dei segni, degli indizi della sua presenza viva. Non è la richiesta di una fede cieca, è la beatitudine promessa a coloro che in umiltà riconoscono la sua presenza a partire da segni anche esigui e danno credito alla parola di testimoni credibili. L’imprecisione introdotta dai traduttori riguardo al tempo dei verbi usati da Gesù è servita a cambiare il senso delle sue parole e a riferirle non più a Giovanni e agli altri discepoli, ma ai credenti futuri. E’ passata così inconsapevolmente l’interpretazione del teologo esegeta protestante Rudolf Bultmann,che traduceva i due verbi del passo al presente (“Beati coloro che non vedono e credono”) per presentarla “come una critica radicale dei segni e delle apparizioni pasquali e come un’apologia della fede privata di ogni appoggio esteriore” (Donatien Mollat). Mentre è esattamente il contrario. Ciò che viene rimproverato a Tommaso non è di aver visto Gesù. Il rimprovero cade sul fatto che all’inizio Tommaso si è chiuso e non ha dato credito alla testimonianza di coloro che gli dicevano di aver visto il Signore vivo. Sarebbe stato meglio per lui dare un credito iniziale ai suoi amici, nell’attesa di rifare di persona l’esperienza che loro avevano fatto. Invece Tommaso ha quasi preteso di dettare lui le condizioni della fede. Vi è un altro ricorrente errore di traduzione, ripetuto anche dalla nuova versione CEI. Quando Gesù sottopone le sue ferite alla “prova empirica” richiesta da Tommaso, accompagna questa offerta con un’esortazione: “E non diventare incredulo, ma diventa (γίνου) credente”. Significa che Tommaso non è ancora né l’uno né l’altro. Non è ancora incredulo, ma non è nemmeno ancora un credente. La versione CEI, come molte altre, traduce invece: “E non essere incredulo, ma credente”. Ora, nel testo originale, il verbo “diventare” suggerisce l’idea di dinamismo, di un cambiamento provocato dall’incontro col Signore vivo. Senza l’incontro con una realtà vivente non si può cominciare a credere. Solo dopo che ha visto Gesù vivo Tommaso può cominciare a diventare “credente”. Invece la versione inesatta, che va per la maggiore, sostituendo il verbo essere al verbo diventare, elimina la percezione di tale movimento, e sembra quasi sottintendere che la fede consiste in una decisione da prendere a priori, un moto originario dello spirito umano. E’ un totale rovesciamento. Tommaso, anche lui, vede Gesù e allora, sulla base di questa esperienza, è invitato a rompere gli indugi e a diventare credente. Se al diventare si sostituisce l’essere, sembra quasi che a Tommaso sia richiesta una fede preliminare, che sola gli permetterebbe di “vedere” Gesù e accostarsi alle sue piaghe. Come vuole l’idealismo per cui è la fede a creare la realtà da credere. Le spiegazioni della nota, basate su queste traduzioni inesatte, e che per fortuna, come ha premesso monsignor Antonelli, non possiedono “alcun carattere di ufficialità”, sembrano comunque piegare le parole di Gesù alla nuova tendenza che vige oggi nella Chiesa, secondo cui una fede pura è quella che prescinde dal “vedere”, ossia dall’appoggio e dallo stimolo dei segni sensibili. E’ vero, come spiega la nota, che nel tempo attuale “la visione non può essere pretesa”. Niente nell’esperienza cristiana può mai essere oggetto di “pretesa”. Ma mettere in alternativa il vedere e l’ascoltare e sostenere che “la normalità della fede poggia sull’ascolto, e non sul vedere” ossia che basta ascoltare il “racconto” del cristianesimo per diventare cristiani, sembra essere in contraddizione con tutto ciò che insegnano le Scritture e la Tradizione della Chiesa. Le apparizioni a Maria di Magdala, ai discepoli e a Tommaso sono l’immagine normativa di un’esperienza che ogni credente è chiamato a fare nella Chiesa; come l’apostolo Giovanni, anche per noi il “vedere” può essere una via d’accesso al “credere”. Proprio per questo continuiamo a leggere i racconti del Vangelo: per rifare l’esperienza di coloro che dal “vedere” sono passati al “credere” (si pensi alla contemplazione delle scene evangeliche e all’applicazione dei sensi a esse, secondo una lunga tradizione spirituale). Il Vangelo di Marco si conclude testimoniando che la predicazione degli apostoli non era solo un semplice racconto, ma era accompagnata da miracoli, affinché potessero confermare le loro parole con questi segni: “Allora essi partirono e annunciarono il vangelo dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la parola con i segni che la accompagnavano” (Mc 16,20). Molti Padri della Chiesa, dall’occidentale Agostino fino all'orientale Atanasio, hanno insistito su questa permanenza dei segni visibili esteriori che accompagnano la predicazione e che non sono un di meno, una concessione alla debolezza umana, ma sono connessi con la realtà stessa dell’incarnazione. Se Dio si è fatto uomo, risorto col suo vero corpo, rimane uomo per sempre e continua ad agire. Ora non vediamo il corpo glorioso del Risorto, ma possiamo vedere le opere e i segni che compie: “In manibus nostris codices, in oculis facta”, dice Agostino: “nelle nostre mani i codici dei Vangeli, nei nostri occhi i fatti”. Mentre leggiamo i Vangeli, vediamo di nuovo i fatti che accadono. E Atanasio scrive nell’Incarnazione del Verbo: “Come, essendo invisibile, si conosce in base alle opere della creazione, così, una volta divenuto uomo, anche se non si vede nel corpo, dalle opere si può riconoscere che chi compie queste opere non è un uomo ma il Verbo di Dio. Se una volta morti non si è più capaci di far nulla ma la gratitudine per il defunto giunge fino alla tomba e poi cessa – solo i vivi, infatti, agiscono e operano nei confronti degli altri uomini - veda chi vuole e giudichi confessando la verità in base a ciò che si vede”. Tutta la Tradizione conserva con fermezza il dato che la fede non si basa solo sull’ascolto, ma anche sull’esperienza di prove esteriori, come ricorda il Catechismo della Chiesa cattolica al paragrafo 156, citando le definizioni dogmatiche del Concilio ecumenico Vaticano I: «“Nondimeno, perché l’ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua rivelazione”. Così i miracoli di Cristo e dei santi, le profezie, la diffusione e la santità della Chiesa, la sua fecondità e la sua stabilità “sono segni certissimi della divina rivelazione, adatti a ogni intelligenza”, sono “motivi di credibilità” i quali mostrano che l’assenso della fede non è “affatto un cieco moto dello spirito”».
In particolare, sono i santi che attualizzano per i loro contemporanei i racconti del Vangelo. Quando san Francesco parlava, per chi era lì presente era chiarissimo che i Vangeli non erano un racconto del passato, solo da leggere e ascoltare: in quel momento era evidente che in quell’uomo era presente e agiva Gesù stesso.
Non per niente anche Giovanni Paolo II ha proposto in chiave positiva proprio la figura dell’apostolo Tommaso, quando, in un suo discorso ai giovani di Roma, il 24 marzo del ’94, li ha invitati a prendere sul serio, rispettare e accogliere questa sete di prove esteriori, visibili, così viva tra i loro coetanei: «Noi li conosciamo [questi giovani empirici], sono tanti, e sono molto preziosi, perché questo voler toccare, voler vedere, tutto questo dice la serietà con cui si tratta la realtà, la conoscenza della realtà. E questi sono pronti, se un giorno Gesù viene e si presenta loro, se mostra le sue ferite, le sue mani, il suo costato, allora sono pronti a dire: Mio Signore e mio Dio!».


Thursday, February 06, 2020

LA MIA STAGIONE NO

La biografia degli anni universitari  di Pat Conroy,  play maker nel campionato di basket universitario americano, prima di diventare uno scrittore conosciuto in tutto il mondo, Pat Conroy ricorda la stagione universitaria che ha segnato la sua vita, e l'ultimo campionato di basket a cui ha partecipato come giocatore tra il 1966 e il 1967. La solidarietà della squadra, i dissidi con l'allenatore dispotico, e soprattutto i contrasti con il padre violento, si rivelano altrettante tappe di un percorso di formazione aspro ma necessario, il cui senso solo oggi, dopo trentanni, appare chiaro.


LA MIA STAGIONE NO
La domenica mattina, i cìnque cattolici della squadra si alzarono di buon'ora per recarsi alla messa nella St.Louis  Cathedral.   Conroy, DeBrosse, Bornhorst, Connor e Kennedy... sembra quasi di udire i passi strascicati degli immigranti venuti dall'Irlanda, dalla Germania e dalla Francia, in quel quintetto di freschi nomi  americani. Il fatto che ogni domenica noi insistessimo per recarci a messa sconcertava Mel Thompson, che spesso doveva apportare varianti ai nostri itinerari per accontentare i suoi ragazzi cattolici. In fondo credo che Mel approvasse il nostro attaccamento alla fede e lo considerasse una delle tante forme che la disciplina poteva assumere. Quando feci la comunione, quella mattina, ringraziai Dio per la partita che mi aveva concesso di giocare contro Loyola. Quell'anno, i miei rapporti con Dio erano in presa diretta, personali e conversevoli per natura.  Io rischiavo di perderlo e volevo che Egli mi aiutasse. Benché ci fosse un che di maestoso nel suo silenzio, Egli era finalmente riuscito a concedermi una buona partita. Lo consideravo un segno positivo.
Per tutta la stagione, io avrei aspettato dei segni della Sua grandezza e della Sua  sollecitudine nei miei confronti. Pregavo molto e solo più tardi mi resi conto che quel fiero pregare fu un modo per trovare prologo e introduzione alla mia scrittura. Ciò mi colmò sia di stupore sia di sollievo. Quando credevo che Dio mi avesse abbandonato, scoprii invece che mi aveva semplicemente dato una voce diversa per lodare l’inesauribile bellezza del creato. (pagg.251-252)

Thursday, April 19, 2018


     Lettera alla sorella Caterina                                                                       Te la senti di guardare le foto dell’album di famiglia?           dal blog di Agostino Diveraro. (agonelis.blogspot.it)
Se non hai un motivo concreto per farlo, non ti viene in mente di andare a riguardare le foto che hai fatto lungo gli anni della tua vita. Forse è più facile scorrerle, cercando un volto, un luogo, l’album  di un tuo parente  o l’archivio  di una istituzione.
Perché ti può assalire una nostalgia dolorosa nel trovarti di fronte a ciò che eri ( che apparivi) 10, 20 30 anni fa? Quasi sempre lì sembri più bello (perchè più giovane), le gite più  avventurose, i panorami più ampi, i colori più marcati. Le persone più interessanti.  Rivedi anche i  familiari e gli  amici che se ne sono andati o di cui hai perso le tracce.
 Foto di escursioni che ora ti non ti puoi più permettere, eventi che non potranno ritornare. Anche alcuni sfondi urbani o paesaggi a volte non più rivisitabili. Quegli alberi dietro la casa dei nonni non ci sono più. Spesso anche la casa non c’è più.  Quel laghetto  (stò pensando al lago dolomitico di  Carezza) che faceva da sfondo alla foto con un gruppo di compagni di scuola si è ridotto ad una pozza. Quel meraviglioso ghiacciaio che stava alle tue spalle adesso  non c’è quasi più. Le ragazze carine che stavano nella foto alla tua destra chissà che fine hanno fatto. Tua sorella con le lunghe trecce che ti stà sostenendo nei primi passi nel cortile di casa, adesso  ha il diabete, non si può più muovere tanto  e spesso quando le parli del passato fa fatica a  ricordare.
Insomma le foto antiche sono una fonte di nostalgico rimpianto, di tristezza e a volte di dolore. Ma allora perché si continua  a fare foto…selfie, ecc.   Si fanno e poi o si cancellano subito o non si guardano più . Adesso poi con i telefonini evoluti te ne fai quante vuoi. Alcune le  memorizzi, le giri agli amici per dire “guarda dove sono stato”..la gran parte le cestini.
Ma le foto quindi servono solo per rinnovare la patente,  per la documentazione storica del passato tuo e dei tuoi cari o  costruirsi un album di famiglia da mettere nel cassetto?
Ma qual è il vero Agostino? Quello vecchio  di oggi, quello già un po’ anziano di qualche anno fa in bicicletta o quello trentenne che, nella foto, attaccava con energia la direttissima del Gran Sasso o  di cui si vede il volto nel gruppo di amici  festanti che attende la proclamazione del nuovo Papa in piazza san Pietro?
Dobbiamo fare in modo che  il riprendere in mano le foto antiche sia un occasione di gioia, di nuovo slancio ma come fare?
Mi troverei in difficoltà a dare una risposta se non sentissi  risuonare nella mia mente e nel mio cuore quelle parole di che san Paolo che diceva ai Corinzi    Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano. (1 Corinzi 2,9)
E nella lettera ai Romani…”Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi.23Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.24Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza. (Lettera ai Romani 8, 22-26)
Ritroveremo le persone e le cose amate , l’intero creato con tutti i suoi mondi e le  sue stelle…lì ogni lacrima verrà asciugata. Quindi lacrime, lacrime di dolore, ma anche lacrime di gioia e di ringraziamento verso Colui che ci ha donato tutto e ci ha dato la capacità di amare tutto e tutti. Non ci sarà più la divisione in parenti, amici, conoscenti, estranei, stranieri, diversi.  Saremo una cosa sola con Lui: uniti, indivisibili (come diceva Battisti in “Amarsi un po”).  Un po’ come  l’ascolto di un concerto di Beethoven: mentre scorre la musica puoi immaginare che a sentirlo ci siano tutte le persone del mondo che vorresti vicini a te per partecipare di questa indescrivibile emozione. La musica, come la Fede unisce e abbraccia l’intero universo.
 Saremo nelle foto di tutti, nei paesaggi più incredibili, nei viaggi più interstellari Dio è cielo sconfinato: perciò di continuo si vedono e si godono nuovi cieli dalle inimmaginabili bellezze e meravi­glie, che l'anima vede come nel centro di Dio, e ne gode per sempre. E percorrendo quegli infiniti cieli nuovi l'anima si ritrova eternamente felice.” (Javiera Del Valle)

Allora la visione delle immagini di come eravamo diventa un’occasione di ringraziamento, di lode,  di stupore pe essere figli di un Padre così buono. E nella paternità del nostro papà, ritratto assieme a mamma e alla sorella, mentre scendiamo dal treno a vapore che ci ha portato a Pieve di Cadore, intravediamo la paternità divina.
San Giovanni incontrando Nicodemo di notte gli dice: Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.
La vita eterna non solo agli uomini ma anche a tutto il mondo. Lui, il Creatore, che “ama il mondo appassionatamente” e che ci ha  trasmesso questo amore nella persona di Gesù . Gesù ha amato appassionatamente la sua Galilea, Il suo lago, i suoi monti, tutte le creature  della terra Con quanta tenerezza parla dei fiori, degli alberi, degli animali, dei pesci..
Mi ritorna in mente l’omelia di san Josemaria  pronunciata nel 1968 nel campus dell’università di Navarra: “Amare il mondo appassionatamente”. La bellezza di lavorare amando le persone e le cose attorno a te.
 Rivedo le foto di questo incontro, rivedo la sua carica umana e spirituale  tutto ciò mi dà gioia , mi aiuta a lottare , a scacciare la tristezza.
Gesu Cristo vive ” Ravviva la tua fede. —Cristo non è una figura del passato. Non è un ricordo che si perde nella storia. È vivo! “Iesus Christus heri et hodie, ipse et in saecula” —dice San Paolo— Gesù Cristo ieri, oggi e sempre!”(Cammino,584)
Riconosco, accanto a Josemaria, Alvaro e Javier ; anche loro continuano a vivere con noi. Come i nostri genitori che sono in Cielo, come i nostri fratelli e sorelle, come tanti altri conosciuti, o ormai dimenticati, con cui abbiamo trascorso momenti belli e meno belli della nostra vita.
L’orizzonte della nostra vita si allarga , da ogni fotogramma ci arriva un impulso di vita, di speranza di pace.
E può essere un segno dei tempi che l’unica immagine vera che ci è giunta di Gesù sia una specie di  foto: la foto della Sindone! Una immagine che guardandola  ci fa soffrire  ma che insieme ci entusiasma, ci riempie di gioia . Nell’immagine del suo corpo completamente donato a noi fino all’ultima goccia di sangue c’è la nostra felicità presente e futura. Il commovente inno latino composto per la venerazione della Sindone ce lo ricorda (2)
Occorre sapersi  figli di Dio,  vivere la filiazione divina: ringraziare, ammirare.,pregare…sapendo che il bello deve  ancora venire.
Un affettuoso saluto da Agostino
1. Amarsi un po' è come bere.. più facile è respirare. Basta guardarsi e poi ..avvicinarsi un po' ..e non lasciarsi mai.. impaurire no, no. Amarsi un po' è un po' fiorire ..aiuta sai a non morire. Senza nascondersi.. manifestandosi.. si può eludere la solitudine.. però, però volersi bene no.. partecipare è difficile quasi come volare Ma quanti ostacoli e sofferenze e poi sconforti e lacrime per diventare noi veramente noi, uniti.. indivisibili, vicini ma irraggiungibili.                                                                                                                     
2. Jesu dulcis amor meus, ac si praesens sis accedo: te complector cum affectu, tuorum memor vulnerum. O quam nudum hic te cerno, vulneratum et distentum, inquinatum, involutum, in hoc sacrato tegmine!Salve caput cruentatum Spinis cujus dulcis vultus Immutavit suum florem, quem caeli tremit curia. Salve latus Salvatoris, salve mitis apertura, super rosam rubicunda, medela salutifera. Manus sanctae, vos avete, diris clavis perforatae: ne repellas me salvator de tuis sanctis pedibus. Amen    ascolta: https://www.youtube.com/watch?v=yNBT_U_3KME

Friday, November 27, 2015

MARIA, LA CHIESA E L'ISLAM



“Domenica 29 novembre con la prima domenica d’avvento inizia anche la novena in preparazione alla solennità dell’Immacolata . E’ una occasione propizia per chiedere alla Madonna che ci aiuti nella vita cristiana e che aiuti tutta la Chiesa e il mondo, liberandolo dagli odi e dalle violenza omicide che si sono scatenati in questo ultimo periodo. Nella pagina allegata “Maria, la Chiesa e l’Islam” si evidenzia  il ruolo che svolge la Madonna nei confronti dei  musulmani che, pur non riconoscendo la divinità di Cristo, sono devoti a Maria.”

Una misteriosa protezione, una misteriosa preparazione mariana avvolge i popoli che non conoscono il Cristo. Possiamo invocarla specialmente per loro. Nell'Islam essa è qualche cosa di più che una presenza segreta. I mussulmani non danno riconoscimento pieno al Cristo, ma d'altra parte esaltano Maria. E Maria non vorrà condurli un giorno a Gesù? (JEAN DANIELOU, Il mistero dell’avvento. pp. 119-123)

Tutto ciò che nell'anima della Vergine fu preparazione e prefigurazione del Cristo resta ancora per noi una realtà attuale, giacché noi stessi viviamo nel mondo, oggi, il mistero della progressiva venuta del Cristo in tutte le anime e in tutte le nazioni.                                                Se il Cristo è venuto, secondo la carne, al termine della speranza di Israele, e se Maria ha veduto Colui che attendeva, ha tenuto sulle sue braccia il bimbo nato a Betlemme e ha potuto riconoscere, come Simeone, l'Atteso di tutte le genti, si può giustamente parlare di una venuta di Gesù. Egli è venuto, e tuttavia Egli è sempre Colui che deve venire. Venuto si, ma non ancora interamente : e se fu saziata l'attesa di Israele, la stessa attesa oggi ancora sussiste.  Noi siamo sempre nell'Avvento,  nell'aspettazione della venuta del..Messia.
Egli è venuto, ma noi non siamo ancora alla piena manifestazione di Lui. Egli non risulta manifestato pienamente ancora in ciascuna delle anime nostre e nella umanità intera: ossia, come Gesù nacque secondo la carne, a Betlemme di Giuda, cosi deve spiritualmente nascere in ogni anima. Una perpetua natività. di Gesù in noi costituisce il mistero della vita spirituale. Bisogna che incessantemente noi ci trasformiamo in Gesù, che assumiamo le disposizioni del Cuore di Gesù, i giudizi della intelligenza di Gesù. Essere cristiani è il trasformarsi cosi, a poco a poco, in Cristo Gesù, in modo da divenire veramente i figli del Padre, giacché figli del Padre sono soltanto quelli configurati al Figlio e il mistero della vita cristiana è quello della nostra trasformazione in Gesù. Similmente nei confronti della umanità intera Gesù non è ancora pienamente venuto: venuto in alcune razze, ma non venuto in altre, non in tutte.                     Vi sono tuttora intere zone dell'umanità, nelle quali Gesù non è nato. Il Cristo mistico non ha raggiunto la sua totalità. E' ancora mutilato, incompiuto, e la preghiera missionaria consiste nell'aspirazione alla venuta di Gesù nel mondo intero, in modo che il Corpo del Cristo raggiunga la sua statura perfetta.     Quanto concerne la preparazione della venuta di Gesù nella carne, resta vero della venuta spirituale di Gesù nelle nostre anime e della preparazione della venuta spirituale di Gesù nel corpo mistico totale, perché il piano di Dio è uno solo. Come Maria ha sostenuto un compito eminente - qui tocchiamo le ultime profondità del mistero della Vergine nella generazione carnale di Gesù, dandogli la carne da cui nacque, così Maria continua a sostenere un compito eminente nella preparazione delle venute attuali di Gesù. Maria continua a camminare nel mondo, come dicevano i Padri, per essere sempre Colei che prepara la venuta di Gesù. Questo è anzitutto vero per ciascuna delle anime nostre. È Maria che nelle nostre vite spirituali prepara le venute di Gesù in noi e forma in noi progressivamente Gesù. Questa missione di Maria è in rapporto stretto con lo spirito d'infanzia spirituale. Ma lo spirito d'infanzia non è in modo alcuno una sublimazione della nostalgia dell'infanzia: e la devozione mariana non è in alcun modo una sublimazione della maternità stessa. . .Ma a lato di questo aspetto individuale il compito della Vergine ne ha un altro, riguardo ai popoli in cui il Cristo non è ancora venuto. Ecco l'aspetto specificamente missionario del mistero mariano. Il mistero della Santa Vergine è di essere là dove il Cristo non è ancora. Era in Israele, direi, quasi una misteriosa presenza di Gesù prima di Gesù, giacché si trovava già interamente Lei, in relazione con Gesù e in Lei nulla vi ha che non sia per Gesù. Maria sta dunque là, in quello spazio che precede l'Incarnazione. Sembra darsi un momento in cui vi sia già la Chiesa, giacché Maria raffigura la Chiesa e l'umanità salvata dal Cristo, prima che Gesù vi sia. Misteriosamente, anche in quell'intervallo spirituale che prepara l'Ascensione dalla Pentecoste, non vi è Gesù asceso alla gloria, ma vi è Maria: ma l'esservi Lei fa sì che vi sia Gesù, che vi sia la Chiesa, prima della sua stessa piena istituzione visibile, che avremo soltanto dopo la Pentecoste. Soltanto nella Pentecoste lo Spirito Santo disceso sugli Apostoli creerà la Chiesa; spirituale, per il fatto che vi è Maria .      Appare chiaro, adesso, il misterioso compito di Maria tra i popoli pagani: non la Chiesa, tra essi, non Gesù ancora: eppure la Chiesa e Gesù sono già là, perché vi è Maria. Prima che i popoli pagani siano convertiti al Cristo, prima che la Chiesa visibile sia in mezzo a loro, vi è una mistica presenza di Maria che prepara, che prefigura la Chiesa, che ne costituisce una anticipazione. In ciò consiste la così misteriosa e profonda relazione di Maria con i popoli pagani. Torna in mente quella confidenza di Péguy che spiega come non potendo dire «Padre nostro» potesse dire, però, «Ave Maria ». Molti peccatori sono nell'impossibilità di recitare il Padre nostro, ma recitano, non ostante ciò, l'Ave Maria. E' giusto che sia così: quando dire Padre nostro non si può, perché mancano disposizioni filiali, di grazia, e non se ne è quindi degni, si può tuttavia ancora dire Ave Maria giacché dove Gesù e la grazia sono ancora assenti vi è già una presenza di Maria. Questo spiega la misteriosa relazione esistente tra Maria e i peccatori, così fortemente sentita dai peccatori stessi che invocano Maria, mentre non possono ancora invocare Gesù.                                                                   Ugualmente, hanno in sé una presenza di Maria i popoli tuttora giacenti nelle tenebre: Gesù e la Chiesa non sono là, ma vi è già Maria. Una misteriosa protezione, una misteriosa preparazione mariana avvolge i popoli che non conoscono il Cristo. Possiamo invocar la specialmente per loro. Riconosciamo in Lei il canale d'una ineffabile grazia, sappiamo che dove la grazia di Gesù non può ancora passare, passano le grazie mariane, quelle delle preparazioni.    … Di questa segreta presenza di Maria possiamo cogliere certi indizi. Nell'Islam essa è qualche cosa di più che una presenza segreta. I mussulmani non danno riconoscimento pieno al Cristo, ma d'altra parte esaltano Maria. E Maria non vorrà condurli un giorno a Gesù? Tra i discendenti di Abramo essi sono i soli che affermano e ammirano la purità di Lei. Qui di nuovo ci si svelano le profondità teologiche e precisamente mariane della storia. La Terra Santa ,fu promessa al seme di Abramo. Nella discendenza dei suoi due figli, quella di Isacco, della quale è pur gloria Maria - Tu gloria Ierusalem, tu laetitia Israel - bestemmiò, oltraggiò Maria, colei di cui la Terra Santa era solo figura, trattandola da adultera e da «donna di cattivi costumi », mentre la razza di Ismaele ne ha proclamata la verginità. Ora da tredici secoli proprio la razza di Ismaele detiene il possesso della Terra Santa, e la spada di fuoco interdice alla razza di Isacco il perduto Paradiso della Promessa. Ed ecco oggi più che mai questa Terra posta in segno di contraddizione fra i figli di Abramo, pei quali un giorno il riconoscimento comune di Colei che la Terra prefigurava soltanto, sarà il vincolo di unità, giacché la lettera uccide e lo spirito vivifica.

Wednesday, July 08, 2015

Marmellata di arance



 Un giorno mi chiedesti la marmellata di arancio. Era un  mattino  di  fine maggio; percorsi tutta  la città,  di negozio in negozio, di rifiuto in rifiuto. I bottegai scrollavano il capo come chiedessi qualcosa di  assurdo, un pezzo di Marte.  Sudavo correndo, di  strada  in strada, di bottega in bottega, e di sorriso in ironia. Forse mai come in quelle ore odiai i tedeschi e sentii l'orrore  della guerra. Disperazione e fraterno egoismo mi tolsero in quelle ore l'intelletto:  ero un uomo cieco e scatenato che cercava un  barattolo  di marmellata d'arancio con l'impeto di un brigante di strada, con la voce querula di un accattone - rivolto ora ai borsari neri, ai compagni, agli amici - inutilmente.  ( pagg,151-152)
 
Fu un giugno crudele, così  denso di vita, di fervore appena fuori del cancello dell'ospedale. Al di del viale, a Porta Pia, c'era un luna-park di rione, con la pista delle automobili,  le  barche  volanti e  i  tirassegni. L'altoparlante diffondeva le canzoni. Uscendo dall'ospedale mi fermavo ogni volta in mezzo a quel clamore, incapace di formulare  un  pensiero o un  proposito.  Quella  mattina del nostro congedo, mi trovai col viso contro una vetrina di via Salaria ov'erano esposti, l'uno  sull'altro a piramide, barattoli di conserva dolce. Alla sommità della pila stavano i vasetti di marmellata d'arancio. Li guardavo e il frutto  stampato sull'etichetta mi sembrava una faccia che ammiccasse. Le mie idee e convinzioni, l'amore che portavo alla mia ragazza e alla bambina che anche a  me era nata, la fiducia nel mio lavoro, la verità per la quale gli amici più cari erano caduti nella Resistenza, la mia umanità e le mie aspirazioni, tutto  vacillava di fronte  all'ingiustizia che la tua sorte vi opponeva. Ora mi dico che per gli spiriti più immacolati e più corrotti la morte è sempre un'assuefazione di vita, è il compimento di una conoscenza. E per le anime non più pure e non ancora peccatrici, che non conobbero il sapore della rinuncia   il gusto dell'offesa?  "Poiché  dei poveri di  spirito  sarà il Regno dei Cieli" disse il Cristo. Se così è, la tua  anima splende nell'Eterno  più alto.   Napoli, dicembre 1945                     
 VASCO PRATOLINI, Cronaca familiare pag.155