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Tuesday, November 16, 2010

L’ Abruzzo e i Santi

L’occasione dell’intitolazione a Pescara di una via a san Josemaria Escrivà, fondatore dell’Opus Dei, mette in evidenza la grande familiarità che intercorre tra la gente d’Abruzzo e i santi. Non solo con i grandi santi consacrati dalla secolare storia della Chiesa, ma anche tra quelli più “normali” e recenti: Padre Pio, Teresa di Calcutta, Josemaria Escrivà. Per non parlare di uno molto vicino, per certi aspetti già canonizzato dal popolo: Giovanni Paolo II.
Appunto san Josemaria e Giovanni Paolo II: due grandi figure destinate a lasciare una traccia indelebile su tutto il millennio che si è aperto da poco.
Joaquìn Navarro Valls probabilmente è l’unica persona ad aver avuto la fortuna di conoscerli a fondo entrambi. E non in modo episodico ed esterno ma vivendo accanto a loro per diversi anni ;prima con Josemaria Escrivà e poi con Giovanni Paolo II.

L’occasione di ricordarli entrambi è stato al centro dell’intervento di Navarro all’incontro svoltosi nell’aula consiliare del comune di Pescara

Ecco uno degli articoli apparsi nel quotidiano “Il Centro”

Le mie fughe con il Papa
                                      I ricordi abruzzesi dell'ex direttore della sala stampa della Santa Sede in città per l'Opus Dei: "Ventidue anni accanto a Giovanni Paolo II"

PESCARA. «Quante volte siamo venuti in Abruzzo di nascosto. A camminare, a sciare». Si illuminano gli occhi di Joaquìn Navarro Valls mentre regala un momento dei suoi ventidue anni accanto a Giovanni Paolo II. Spagnolo, direttore della sala stampa della Santa Sede dal 1984 al 2002, Navarro Valls ieri era a Pescara dove, nella sala consiliare del Comune, ha parlato di «realismo umano della santità». Un incontro organizzato dall'associazione culturale Forgia e dal club CasAuria alla vigilia dell'inaugurazione della strada (tra via Pizzoferrato e via Arapietra) che il Comune di Pescara intitola questa mattina a San Josemarìa Escrivà.Con il fondatore dell'Opus Dei, Navarro Valls ha vissuto cinque anni a Roma, dal 1970 al 1975, nella casa madre della prelatura cattolica di cui lui stesso è membro laico.

SANTI COL BUON UMORE La sala consiliare era piena ieri pomeriggio, con persone arrivate anche da fuori regione per ascoltare la lezione sulla santità del medico e giornalista (74 anni martedì) che nella sua vita ha incontrato due santi «anzi tre», come rimarca lui prima di ricordare san Josemarìa, madre Teresa di Calcutta e, naturalmente, Giovanni Paolo II.«Tre persone completamente diverse per formazione, carattere, preferenze», racconta Navarro Valls, «tanto che mi sono chiesto spesso cosa avessero in comune. Ebbene, un buon umore straordinario. Le miserie del mondo non gli toglievano l'ottimismo, perché tutte e tre credevano sul serio alle due righe della Genesi, Dio ha creato l'uomo a Sua immagine e somiglianza, dunque il fine della storia è sicuramente felice, come nei film degli anni Cinquanta».

LA COPERTINA E L'ACQUA Parla con semplicità, e con semplicità dice, Navarro Valls, che «la santità è l'eroismo nel quotidiano. Non si è santi una volta, ma tutto l'anno. Il santo è colui che fa straordinariamente bene le cose ordinarie, anche se poi non viene canonizzato».Ed ecco allora i ricordi, «tantissimi» accanto a tre personaggi che hanno fatto la storia. «Un anno, Giovanni Paolo II era già molto anziano, la rivista Time Magazine lo fece l'uomo dell'anno. In copertina c'era una foto sua sorridente, con un'espressione ironica straordinaria. Eravamo a cena, non gli avevo detto niente, quando tiro fuori la rivista e gliela mostro. Per tutta la cena mi ha fatto domande sui motivi di quella scelta da parte della rivista, ma alla fine si alza e per la seconda volta lo vedo che capovolge la copertina sul tavolo. Ci resto male. Cosa non le piace, la fotografia, gli chiedo. E lui: forse mi piace troppo. Ecco la sua santità: per ottant'anni ha lottato contro le passioni umane». Josemarìa Escrivà. «Per molto tempo è stato malato di diabete, stava parlando in una conferenza, ma non ce la faceva più. Chiese un bicchiere d'acqua. Ma poi, una volta avuto, ha continuato a parlare ancora per dieci minuti senza bere. Anche in quel piccolo dettaglio offriva a Dio la sofferenza per quella sete». E allora ecco «gli occhi da bambina» di madre Teresa di Calcutta. Navarro Valls la conobbe durante un volo da Calcutta alle Filippine nell'83 e da allora tante volte la missionaria albanese, premio Nobel per la Pace nel 1979, è stata a Roma da Giovanni Paolo II.

IL PAPA E GLI ABRUZZESI «Era un martedì, quel giorno il Pontefice non aveva appuntamenti. Uno sguardo e: dài, andiamo». La destinazione la tiene ancora segreta Joaquìn Navarro Valls, mentre però accetta di confidare quelle fughe («quante volte») improvvise e assolutamente segrete sulle montagne aquilane. «Adorava il paesaggio, soprattutto autunnale. I gialli e i rossi dei boschi. In gran segreto passeggiava, spesso faceva qualche sciatina fin sotto al Gran Sasso. Era extraordinario. Degli abruzzesi ha sempre ricordato la sobrietà e la bontà. Amava parlarne anche quando tornavamo a Roma».

LA DIGNITÀ DELLE DONNE «Papa Giovanni II l'ho visto molto arrabbiato qualche volta, e sempre quando si trattava di circostanze in cui era stata fatta violenza fisica o morale contro un essere umano. Per lui era una bestemmia». E a chi gli chiede una lezione sul bene, su come è inteso e vissuto oggi, Navarro Valls evita riferimenti diretti e si limita a dire: «In qualsiasi attività umana, l'unico modo per essere giusto è trattare le persone da persone, non da cose. Le cose hanno un prezzo, le persone un valore, che è la dignità. A livello sociale, lavorativo, politico. Ce l'hanno gli uomini e ce l'hanno le donne».


I GIORNALISTI E I SANTI Presidente dell'associazione Stampa estera in Italia nel 1983 e 1984, corrispondente per Nuestro Tiempo e inviato estero per il quotidiano di Madrid Abc, Navarro Valls dice subito: «Il giornalismo è una cosa molto seria, va fatto con passione sapendo distinguere tra la propaganda e il giornalismo che racconta l'esperienza che ho vissuto o che considero vera». Quanto ai santi, che è poi il motivo della sua due giorni a Pescara, Navarro Valls commenta l'intitolazione della strada al fondatore dell'Opus Dei con un consiglio ai residenti: «I santi sono sempre vivi, sempre intercessori, basta chiedere. Ne approfittino i residenti della nuova via, ma ne approfitti anche tutta la città».



Cristo Re

R.C.V.(2)

"Si conclude l'anno liturgico e nel Santo Sacrificio dell'altare rinnoviamo l'offerta, al Padre, della Vittima, Cristo, Re di santità e di grazia, Re di giustizia, d'amore e di pace, come leggeremo fra poco nel prefazio. Voi tutti, nel considerare la santa Umanità di nostro Signore, sentite nelle vostre anime una gioia immensa: un Re dal cuore di carne, come il nostro, che pur essendo l'autore dell'universo e di ogni singola creatura, non impone il suo dominio con prepotenza, ma viene come un poverello a chiedere un po' d'amore, mostrandoci, in silenzio, le sue mani piagate.

Perché allora tanti lo ignorano? Perché si sente ancora la protesta crudele: Nolumus hunc regnare super nos, non vogliamo che regni su di noi? Vi sono milioni di uomini che si oppongono a Gesù Cristo, o piuttosto alla sua ombra, perché non lo conoscono, non hanno visto la bellezza del suo volto, ignorano le meraviglie della sua dottrina. Dinanzi a questo triste spettacolo mi sento spinto alla riparazione; dinanzi al clamore incessante, fatto di opere ignobili più che di parole, sento il bisogno di gridare: Oportet illum regnare, egli deve regnare...

Se lasciamo che Cristo regni nella nostra anima, non saremo mai dei dominatori, ma servitori di tutti gli uomini. Servizio: come mi piace questa parola! Servire il mio Re e, per Lui, tutti coloro che sono stati redenti dal suo sangue. Se noi cristiani sapessimo servire! Andiamo dal Signore e confidiamogli la nostra decisione di voler imparare a servire, perché soltanto così potremo non solo conoscere e amare Cristo, ma farlo conoscere e farlo amare dagli altri...

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Per servire gli altri nel nome di Cristo, è necessario essere molto umani. Se la nostra vita fosse disumana, Dio non vi edificherebbe nulla, perché di solito non costruisce sul disordine, sull'egoismo, sulla prepotenza. È necessario comprendere tutti, convivere con tutti, scusare tutti, perdonare tutti. Non si tratta di dire che è giusto ciò che non lo è, o che l'offesa a Dio non è offesa a Dio, o che il male è bene. Però, non risponderemo al male con il male, ma con dottrina chiara e buone opere, affogando il male nell'abbondanza di bene. Cristo allora regnerà nella nostra anima e in quelle di coloro che ci sono vicini.
(da Josemaría Escrivá, È Gesù che passa, omelia " Cristo Re". ed. ARES)
Lasciare che Cristo regni in noi è l'itinerario della vita cristiana . Come scriveva Romano Guardini:
"In ogni cristiano Cristo per così dire vive la sua vita: dapprima è bambino, e poi cresce finché perviene all'età piena del cristiano maggiorenne. Egli perciò cresce in quanto cresce la fede, si rafforza l'amore, il cristiano diviene sempre più chiaramente consapevole del suo essere cristiano e con profondità e responsabilità sempre maggiori vive la sua esistenza cristiana.
Pensiero inaudito! Sopportabile solo nella fede che Cristo è realmente il compendio, la sintesi; e nell'amore vuole farsi una cosa sola con lui. O il pensiero d'essere congiunto con una persona - non solo legato nella vita e nell'azione, ma cresciuto a formare una cosa sola nell'essere e nell' "io" - si potrebbe sopportare, se quella persona non fosse amata come quella in cui io trovo il mio io vero e proprio, quello di figlio di Dio, e il mio autentico "tu", vale a dire il Padre? Perciò, nella Scrittura in verità si dice: «Nessuno viene al Padre, se non attraverso di me» (Gv 14, 6). Il mio "io" è racchiuso in Cristo, e io debbo impara¬re ad amarlo come colui nel quale ho la mia genuina sussistenza
Ma è anche realmente così? Tu, Paolo, puoi affermare una cosa del genere, se è pur vero che le persone sono quali effettivamente sono? Sono allora cambiate, in quanto divenute cristiane? Non hanno più alcun peccato? Non hai tu notizia di tutto ciò che di basso e malvagio e meschino è in loro?... V'è un passo nella Lettera ai Romani, dove Paolo parla dello stato dell'uomo irredento, ma in cui si insinua anche l'esperienza sempre rinnovata di quanto ancora nel credente contrasta la redenzione.
Là egli dice: «Io so che in me, vale a dire nella mia carne, non abita il bene; infatti in me si trova il desiderare, ma non il compiere il bene. Infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ma se io faccio quanto non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Così io trovo in me la legge che, quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti secondo il mio uomo interiore mi rallegro in rapporto alla legge, ma vedo un'altra legge nelle mie membra, che contrasta con la legge della mia ragione e mi rende schiavo alla legge del peccato, che è nelle mie membra. Io {sono} uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo di morte? [Siano rese} grazie a Dio mediante Gesù Cristo, nostro Signore. Così dunque, con la mia ragione servo la legge di Dio, con la carne invece servo la legge del peccato» (Rm 7, 18-25; si vedano anche in proposito passi come 1 Cor 3, 3 e, tra l'altro, Rm 8, 12-13)...

E ciononostante dev'essere vero quanto tu dici?... Tanto sicuramente vero come il fatto che Cristo è risorto. Infatti la redenzione e la rinascita non significano che l'uomo sia cambiato per incantesimo, ma che in lui è posto un nuovo inizio. Qui v'è il male di cui tu parli, ma anche il nuovo inizio. Il cristiano non è un essere semplice ma, si potrebbe quasi dire, una lotta. È un campo di battaglia e quindi è costituito da due che si trovano in lotta: l'uomo vecchio, che si radica nel suo "io" ribelle, e quello nuovo, che è formato a imitazione di Cristo.
«Se voi avete pur udito e siete stati istruiti in lui, così com'è la verità in Gesù: deponete l'uomo vecchio, com'era secondo la condotta precedente, il quale si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Rinnovatevi nello spirito della vostra mente, e rivestitevi dell'uomo nuovo, che è creato secondo Dio nella giustizia e nella santità» (Ef 4, 21-24).
L'intera esistenza cristiana è la lotta di questi due «uomini» in noi. Il cristiano non è un essere di natura, ma un mistero, un abbozzo di ciò che verrà. A ciò che noi siamo in senso vero e autentico, noi dobbiamo credere, nonostante tutte le obiezioni provenienti da quanto noi siamo visibilmente. Nel "nonostante" che si oppone a quel che in noi sperimentiamo, noi crediamo di essere rinati, di portare in noi Cristo, e in tal modo una gloria in sviluppo, che un giorno deve rivelarsi, come dice la Lettera ai Romani nell'ottavo capitolo.
(R. Guardini, IL Signore, pagg. 602-603)