
Fu un giugno crudele,
così denso
di vita, di fervore appena fuori del cancello dell'ospedale. Al di là del viale, a Porta Pia, c'era un luna-park di rione, con la pista delle automobili, le barche volanti e i tirassegni. L'altoparlante diffondeva le canzoni. Uscendo dall'ospedale mi fermavo ogni volta in mezzo a quel clamore, incapace di formulare un pensiero o un proposito.
Quella
mattina del nostro congedo,
mi trovai col viso contro
una vetrina di via Salaria ov'erano esposti,
l'uno sull'altro a piramide, barattoli
di conserva dolce.
Alla sommità della pila
stavano i vasetti
di marmellata d'arancio. Li guardavo e il frutto stampato sull'etichetta mi sembrava
una faccia che ammiccasse. Le mie idee e convinzioni, l'amore che portavo alla mia ragazza e
alla bambina che anche
a me era nata, la fiducia
nel mio lavoro,
la verità per la quale gli amici più cari erano caduti nella Resistenza,
la mia umanità e le mie aspirazioni, tutto vacillava di fronte all'ingiustizia che la tua sorte vi opponeva. Ora mi dico che per gli spiriti
più immacolati e più corrotti
la morte è sempre un'assuefazione di vita, è il compimento di una conoscenza. E per le anime non più pure e
non ancora peccatrici, che non conobbero né il sapore della rinuncia né il gusto dell'offesa? "Poiché dei poveri di
spirito
sarà il Regno dei Cieli" disse il Cristo. Se così è, la tua anima
splende nell'Eterno più alto. Napoli, dicembre
1945
VASCO PRATOLINI, Cronaca familiare pag.155