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Friday, August 22, 2014

Venezia. La città ritrovata


Alcune frasi tratte dal libro di Paolo Barbaro, Venezia. La città ritrovata. ed. Marsilio PD
 
Ma non solo il tempo atmosferico cambia, appena arriviamo in laguna, sulla gronda. Cambia, ogni volta anche il tempo degli orologi. Bisogna rimettere l'orologio e noi stessi su un'altra marcia.

     Si scende dal treno o si esce dalla macchina: pochi passi, si sale in battello, e cambia. Cambia il battito dell'orologio. Si vede subito, si sente: la velocità del battello è un  ventesimo (in media)  della  velocità  della macchina. Lo senti  sulla  pelle:  più  che  una  corsa  sull'acqua, ora,  appena metti  un  piede  in battello, è una lenta   fermata,  un'inquieta  decelerazione.  Cambia  il moto  e la misura  del moto, il ritmo  e il  senso  del tempo.  Tempo più  dilatato, forse;  certo  più lento vivremo più a lungo?

       Tutto più  lento,   ma  lo  sguardo si  fa  più  attento, acuto. Noi meno  insensibili. le cose più visibili: "si vede" finalmente, si osserva,  si sente.  Muri,  case,  qualcuno  sulla  riva. Si ha voglia di parlargli. Poco  per volta il miracolo: vediamo come  se sentissimo, sentiamo come  se vedessimo. Anche  il cielo  cambia. Più  esattamente: questo è il cielo. Proprio celeste,   perla,  dorato, moltiplicato dall'acqua,  al di dell'acqua, secondo il giorno e l'ora. Anche  nebbia   azzurra,  bora   bianca, foschia   fin  dentro l'anima, dipende da noi. Nelle metropoli a quest'ora  il cielo  è piscio  giallo,  non  si sa dov'è la città- questa-  è la città. Cambia  il buon   Dio,  col  battito diverso  dell'orologio? Cambia il mondo delle  sensazioni non  comunicabili. Vivremo, in un altro  modo, più a lungo.(pagg.149-150)

 

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       Tra la    piccola   Venezia   e  le  nostre  conurbazioni sempre più grandi. Tra questo oscuro dedalo di calli e la campagna con  niènte   più  albèri  e sempre più  strade, non  è questione di scelta  assoluta: piuttosto va tentato lo  sforzo   estremo di  mettere insieme   qualcosa  delle contrastanti esperienze urbane e umane, i  due  modi  di stare al   mondo.  Lo   sforzo   di  integrare   al  mèglio, ognuno di  noi, gli opposti  tentativi:  per  realizzar la comune aspirazione di  orizzonti insieme  meno  brutti e  più  razionali, d’un  possibile  equilibrio  umano,  una ritornata abitabilità e  umanità   dei  nostri  aggregati  di cemento o  di  pietre,   della  natura   e  del  mondo.  Tra infinite  incertezze sentiamo dentro  di  noi  quale può essere il   nostro  compito;  ma  abbiamo  anche   l'impressione che  ogni  cosa  ci stia  sfuggendo come  non mai,  che  tutto   corra   troppo in  fretta, altro  che  "come  un  fiume''.  Qualche valore  forte  dobbiamo  fermarlo,   ripescarlo a tutti  i   costi nel  fiume;  anche  con la  parvenza oggi  del  valore-debole, come  ancora   Venezia suggerisce.

             Passando ogni  giorno, come  tocca  fare,  per Santo  Stefano e dintorni, traversando il centro di Venezia senza più  un turista  in queste sere  di novembre, e più ancora  perdendomi in certi  quartieri bellissimi  e desolati, torna  per  primo  il pensiero che forse  così com’è Venezia  sta  diventando inabitabile per  l'uomo  di questi  anni ; sicché  qualcosa   bisognerà pur  fare,  aggiungere,  modificare,  scegliere:   accettare anche  qui, per non  finire  a calpestare solo un palcoscenico vuoto. Ma insieme, subito dopo, torna  i] pensiero - la  certezza - che  qualcosa  di  fondamentale si  può  esportare proprio da qui.  Forse  soltanto da qui. Qualcosa di difficile anche  solo da dire, da esprimere, perché non è misurabile o definibile, non  è (o è solo in parte)  materiale: il senso  del  tempo che  non  passa completamente, continua dopo di  noi,  per  gli altri  che  amiamo; il valore della  bellezza-città, con  le sue  potenzialità senza  fine; l'idea  stessa  di città,  che  non  può  più crescere solo come  ricorrente inferno tecnologico: il soffio  improvvisamente tenero di una esistenza meno  convulsa, d’una   necessaria  "lentezza".  D’una certa ripresa  di relazioni  tra ieri e oggi, tra padri e figli; una possibile concordanza tra  il mondo in  cui si sosta  per  qualche anno,  e quello  che continua a vivere negli esseri e nelle cose:  quella  conciliazione fra  l'arte e la tecnica,  tra lo spirito e "i schèi", senza la quale siamo  tutti  perduti

      La  città  necessaria, in poche  parole.  Succede perfino, da  queste arti,  nelle calli più  abbandonate,  che   avvertiamo  volta   anche   il sempre  più  raro  "inavvertibile" - senza  volerlo,  quanto meno te lo  l'aspetti  - : la  presenza d 'un  oltre  che  ci sorprende tutti,   indietro  nel   tempo  e  più   avanti . Capita in certi  momenti che  altrove  sono  considerati “tempo  perso"; nelle  rare frange  senza  appuntamenti, senza  orari  precisi,  che  a noi  stessi  sembrano spesso irraggiungibili,   senza   senso.   La  presenza d'un  oltre.  senza  definizioni, che pure  bussa  chiaramente al cuore umano,  nelle ore  più impensate, nella vecchia città.

(Pagg. 228-229)