Alcune frasi tratte dal libro di Paolo Barbaro, Venezia. La città ritrovata. ed. Marsilio PD
Ma non solo il
tempo atmosferico cambia, appena arriviamo in laguna, sulla gronda. Cambia,
ogni volta anche il tempo degli orologi. Bisogna rimettere l'orologio e noi
stessi su un'altra marcia.
Si scende dal treno o si esce dalla
macchina: pochi passi, si sale in battello, e cambia. Cambia il battito
dell'orologio. Si vede subito, si sente: la velocità del battello è un ventesimo (in media) della velocità della macchina. Lo senti sulla pelle: più che una corsa
sull'acqua,
ora, appena metti un piede
in battello, è
una lenta fermata,
un'inquieta
decelerazione.
Cambia
il
moto e la misura del moto,
il ritmo e il senso del
tempo. Tempo più dilatato, forse;
certo
più
lento vivremo più a lungo?
Tutto più lento, ma lo sguardo si fa più attento, acuto. Noi meno insensibili. le
cose più visibili:
"si vede" finalmente, si osserva, si sente. Muri, case, qualcuno
sulla
riva. Si ha voglia
di parlargli. Poco per
volta il miracolo: vediamo
come se sentissimo, sentiamo
come se vedessimo. Anche
il cielo
cambia. Più esattamente: questo è il cielo. Proprio celeste, perla, dorato, moltiplicato dall'acqua, al di là dell'acqua, secondo il giorno e l'ora. Anche
nebbia azzurra,
bora bianca, foschia fin dentro
l'anima, dipende da noi. Nelle metropoli a
quest'ora il cielo è piscio giallo, non si sa dov'è la
città- questa- è
la città. Cambia il buon Dio, col battito diverso dell'orologio? Cambia il mondo delle sensazioni non comunicabili. Vivremo, in
un altro modo, più a lungo.(pagg.149-150)
§ § §
Tra la piccola Venezia
e le nostre
conurbazioni
sempre più grandi. Tra questo oscuro dedalo di
calli e la campagna con niènte più albèri e sempre più strade,
non è questione di scelta assoluta: piuttosto va tentato lo sforzo estremo di mettere insieme qualcosa
delle
contrastanti esperienze urbane e umane, i
due
modi
di stare al mondo. Lo sforzo
di integrare
al mèglio, ognuno di noi, gli opposti tentativi: per realizzar la comune aspirazione di
orizzonti insieme
meno
brutti e
più
razionali, d’un
possibile
equilibrio umano, una ritornata abitabilità e
umanità dei nostri
aggregati di cemento o di pietre, della natura
e del mondo.
Tra
infinite incertezze sentiamo
dentro di noi quale
può essere il
nostro compito; ma abbiamo anche l'impressione che ogni cosa
ci stia sfuggendo come non mai, che tutto
corra troppo in fretta, altro che "come
un
fiume''. Qualche valore forte dobbiamo
fermarlo, ripescarlo a
tutti i costi nel fiume; anche con la parvenza
oggi del
valore-debole, come ancora Venezia suggerisce.
Passando ogni
giorno, come
tocca
fare,
per Santo Stefano e
dintorni, traversando il centro di
Venezia senza più un turista in queste sere
di novembre,
e più ancora perdendomi in
certi quartieri bellissimi e desolati, torna per primo
il
pensiero che forse così
com’è Venezia sta diventando inabitabile per l'uomo di questi anni
; sicché qualcosa bisognerà pur fare, aggiungere,
modificare,
scegliere: accettare anche qui, per non finire
a calpestare solo un palcoscenico vuoto. Ma
insieme, subito dopo, torna i] pensiero - la certezza
- che qualcosa di fondamentale si può esportare proprio da
qui. Forse soltanto da
qui. Qualcosa di difficile anche solo
da dire, da esprimere, perché
non è misurabile o
definibile, non è (o è solo in parte)
materiale: il senso del tempo che
non
passa completamente, continua dopo di
noi,
per
gli altri che amiamo; il valore della bellezza-città, con le sue potenzialità senza fine; l'idea stessa di città, che non può più crescere solo come ricorrente inferno
tecnologico: il soffio improvvisamente tenero di una esistenza meno convulsa, d’una necessaria "lentezza". D’una
certa ripresa di relazioni tra ieri e oggi, tra padri e
figli; una possibile concordanza tra
il mondo in cui
si sosta per qualche anno, e quello che
continua a vivere negli esseri e nelle cose:
quella
conciliazione fra l'arte e
la tecnica, tra lo spirito
e
"i schèi", senza la quale siamo tutti perduti
La città necessaria, in
poche parole.
Succede perfino,
da queste arti, nelle calli più
abbandonate,
che avvertiamo
volta
anche
il
sempre più raro "inavvertibile" - senza volerlo, quanto meno te lo l'aspetti - : la presenza d 'un oltre che ci
sorprende tutti, indietro nel tempo
e
più avanti
. Capita in certi momenti che altrove sono considerati “tempo perso"; nelle rare frange senza appuntamenti,
senza orari precisi,
che
a noi stessi sembrano spesso irraggiungibili, senza
senso.
La presenza d'un oltre. senza definizioni, che pure bussa chiaramente al
cuore umano, nelle ore più
impensate, nella vecchia città.
(Pagg. 228-229)