Search This Blog

Tuesday, October 05, 2010

Josemaria Escrivà: 6 ottobre

Sono passati 8 anni dalla canonizzazione del fondatore dell'Opus Dei: qual'è il cuore del suo messaggio?
Santità e apostolato nel "bel mezzo della strada".

La vocazione cristiana è vocazione alla santità: cioè a seguire Cristo nella vita ordinaria di tutti i giorni

"È necessario ripetere continuamente che Gesù non si rivolse a un gruppo di privilegiati, ma venne a rivelare l'amore universale di Dio. Tutti gli uomini sono amati da Dio; da tutti Dio aspetta amore. Da tutti, qualunque sia la condizione personale, la posizione sociale, la professione o il mestiere. La vita ordinaria non è cosa di poco conto; tutti i cammini della terra possono essere occasione di incontro con Cristo, che ci chiama a identificarci con Lui, per realizzare — nel posto in cui ci troviamo — la sua missione divina.
Dio ci chiama attraverso i fatti della vita di ogni giorno, le sofferenze e le gioie delle persone con cui viviamo, le preoccupazioni umane dei nostri compagni, le cose spicciole della vita di famiglia. E Dio ci chiama anche per mezzo dei grandi problemi, dei conflitti e dei compiti che caratterizzano ogni epoca storica e suscitano gli sforzi e gli entusiasmi di gran parte dell'umanità."(  È Gesù che passa , Cristo presente nei cristiani  punto 110)

All'interno di questa universale chiamata alla santità, può invitare alcuni a seguirlo in una chiamata specifica che ha come segno distintivo la disponibilità ad un apostolato più  diretto.
Paolo VI così descriveva gli effetti che quella vocazione specifica produce nell'intimo di chi è chiamato:

"l’apostolato è innanzi tutto una voce interiore che pronuncia, a quando a quando, una sconcertante valutazione delle cose, vanificandone alcune, anche buone e carissime, esaltandone altre, credute difficili, estranee, utopistiche; una voce inquietante e rassicurante ad un tempo, una voce altrettanto dolce quanto imperiosa, una voce molesta ed insieme amorosa, una voce, che, in coincidenza con impreviste circostanze e con gravi avvenimenti, diventa ad un dato momento attraente, determinante, quasi rivelatrice della nostra vita e del nostro destino, profetica perfino e quasi vittoriosa, che fuga alla fine ogni incertezza,  ogni timidezza ed anche ogni timore, e semplifica fino a rendere finalmente facile, desiderabile e felice la risposta di tutto il nostro essere, nell’espressione di quella sillaba, che svela il supremo segreto dell’amore: sì; sì, o Signore, dimmi quel ch’io devo fare, e oserò, lo farò. Come S. Paolo, folgorato alle porte di Damasco: «Quid vis me facere?», che cosa vuoi ch’io faccia? (Act. 9, 5). La radice dell’apostolato si affonda in questa profondità: esso è vocazione, è elezione, è incontro interiore con Cristo, è abbandono della propria personale autonomia alla sua volontà, alla sua invadente presenza; è una certa sostituzione del nostro cuore, povero, inquieto, volubile e talora infedele, ma avido d’amore, col suo, col cuore di Cristo, che comincia a pulsare nella sua creatura d’elezione. Allora succede il secondo atto del dramma psicologico dell’apostolato: il bisogno d’effondersi, il bisogno di fare, il bisogno di dare, il bisogno di parlare, il bisogno di trasfondere in altri il proprio tesoro, il proprio fuoco. Da personale il dramma si fa sociale, da interiore esteriore. La carità del rapporto religioso diventa carità del rapporto col prossimo. E come la prima carità ha svelato sconfinate dimensioni (cfr. Eph. 3, 18), così la seconda non vorrebbe più limiti; l’apostolato diventa l’espansione continua d’un’anima, diventa l’esuberanza d’una personalità posseduta da Cristo e animata dal suo Spirito, diventa bisogno di correre, di fare, d’inventare, di osare quanto è possibile per la diffusione del Regno di Dio, per la salvezza degli altri, di tutti. È quasi un’intemperanza d’azione, che solo l’urto con le difficoltà esteriori riuscirà a moderare e a modellare in opere concrete e perciò limitate.  OMELIA DI PAOLO VI  Domenica, 13 ottobre 1968.

Wednesday, September 08, 2010

Un compleanno che passa inosservato



L'8 settembre la Chiesa festeggia il compleanno della Madonna. Queste righe scritte da F. Fernadez-Carvajal descrivono bene l'intimità di questo giorno






Nessun evento straordinario  accompagnò la nascita di Maria, e i Vangeli non ne parlano. Nacque, forse, in una città della Galilea, probabilmente nella stessa Nazaret, e quel giorno gli uomini non seppero nulla. Il mondo continuava a dare importanza ad altri fatti che poi sarebbero completamente scomparsi dalla faccia della terra senza lasciare la minima traccia. Spesso ciò che è importante per Dio rimane celato agli occhi degli uomini che sono invece sempre alla ricerca di ciò che è straordinario. Solo in cielo ci fu festa, e festa grande.

Poi, per molti anni, la Vergine passa inosservata. Tutto Israele attende questa fanciulla annunciata dalla Scrittura e non sa che vive già tra gli uomini. Esteriormente si differenziava poco dalle altre. Aveva una volontà, voleva, amava con un'intensità difficile per noi da comprendere, con un amore che in tutto si conformava all'amore di Dio. Aveva intelligenza, al servizio dei misteri che a poco a poco andava scoprendo, comprendeva la perfetta relazione che esisteva tra essi, le profezie che parlavano del Redentore; e intelligenza per imparare come si filava o si cucinava. E aveva memoria - «serbava tutte queste cose nel suo cuore» - e passava da un ricordo all'altro, si avvaleva di riferimenti concreti. La Madonna possedeva un'immaginazione vivace che le permise di avere una vita ricca di iniziative e d'inventiva nel trovare modi semplici di servire gli altri, di dare sollievo alla loro esistenza, a volte resa penosa dalla malattia o dalla disgrazia. Dio con infinito amore la contemplava nelle piccole faccende quotidiane e si compiaceva immensamente di queste occupazioni prive di rilievo.
     Contemplando la sua vita ordinaria, impariamo a svolgere gli impegni quotidiani alla presenza di Dio: a servire gli altri senza rumore, senza far valere continuamente i nostri diritti o i privilegi che noi stessi ci attribuiamo, a portare a termine bene il lavoro che stiamo facendo. Se imitiamo nostra Madre, impareremo a dar valore alle cose piccole dei giorni sempre uguali, a dar senso soprannaturale alle nostre azioni, che forse nessuno vede: pulire dei mobili, correggere dei dati dell'archivio, riordinare la camera di un malato, cercare le citazioni precise per la lezione che stiamo preparando. Queste piccole cose fatte con amore attraggono la misericordia divina e accrescono continuamente la grazia santificante nell'anima. Maria è l'esempio perfetto di questa dedizione quotidiana, “che consiste nel fare della propria vita un’offerta al Signore”(Giovanni PaoloII)

Da F: Fernandez-Carvajal,“Parlare con Dio” vol.VI, Natività della Beata Vergine Maria. ed. ARES

Thursday, August 12, 2010

“VIVERE SECONDO LA DOMENICA” (Ignazio di Antiochia)

Sempre dal bellissimo volume "Il Dio vicino"  edito dalla San Paolo che raccoglie diversi scritti dell'allora card. Ratzinger riportiamo queste righe che sottolineano l'importanza della Domenica e dell'eucarestia ricevuta in grazia di Dio.

L'ultima cena di Gesù non fu uno dei tanti pasti che egli consumò con «i pubblicani e i peccatori». Egli la sottopose alla forma fondamentale della Pasqua, la quale afferma che tale cena deve essere celebrata nella comunità domestica della famiglia. Per questo l'ha celebrata con la sua nuova famiglia, con i Dodici; con coloro a cui lui aveva lavato i piedi, che con la sua parola e con questo bagno di perdono (Gv 13,10) aveva preparato a ricevere la comunione del sangue con lui, a diventare con lui un solo corpo. L’eucaristia non è, essa stessa, il sacramento della riconciliazione, ma presuppone questo sacramento. Essa è il sacramento dei riconciliati, a cui il Signore invita coloro che sono divenuti una cosa sola con lui; indubbiamente, essi restano pur sempre deboli e peccatori, ma sono coloro che gli hanno dato la mano e sono divenuti la sua famiglia. Per questo fin dall'inizio il discernimento precede l'eucaristia. Lo abbiamo già sentito, con toni drammatici, dall'apostolo Paolo: chiunque se ne ciba in modo indegno, mangia e beve la propria condanna, perché non riconosce il corpo del Signore (1Cor 11,27ss). La dottrina dei dodici apostoli, uno degli scritti apostolici più antichi, risalente all'inizio del secolo II, riprende questa tradizione apostolica e fa pronunciare al sacerdote, prima della distribuzione del sacramento, queste parole: «Se uno è santo, venga; se non lo è, si penta!»(*). L’eucaristia - ripetiamolo - è il sacramento di coloro che si sono lasciati riconciliare dal Signore, che sono divenuti la sua famiglia e che si sono, in tal modo, affidati alle sue mani. Per questo esistono con-dizioni per accedere all'eucaristia; essa presuppone che si sia già entrati a far parte del mistero di Gesù Cristo.

Ma anche il nesso con i pasti consumati quotidianamente dai discepoli con Gesù - l'altra delle due ipotesi citate - non risulta convincente, essendo noto che, all'inizio, l'eucaristia veniva celebrata la domenica; essa si distaccava quindi proprio dall'abitudinarietà del quotidiano, ma anche dalla modalità solita del pasto consumato in comune. Il vero punto di partenza per dare forma a quanto richiesto da Gesù fu offerto dalla risurrezione. Fu essa, infatti, a rendere possibile che egli fosse realmente presente al di là dei limiti della sua corporeità terrena e realmente potesse essere partecipato. Ma la risurrezione era avvenuta il primo giorno della settimana, che per gli ebrei era il giorno della creazione del mondo. Per i discepoli esso divenne il giorno in cui aveva avuto inizio un mondo nuovo, quello in cui con la vittoria sulla morte trovava principio la creazione nuova. Era il giorno in cui Gesù Cristo, come risorto, era entrato nuovamente nel mondo. In tal modo aveva fatto del giorno della creazione il suo giorno, il «giorno del Signore». Così esso si chiama già nel I secolo; nel libro dell'Apocalisse (1,10) è indicato con questo nome. E già negli Atti degli apostoli (20,7) e nella Prima lettera ai Corinzi (16,2) troviamo testimoniato questo giorno come il giorno dell'eucaristia. Il Si-gnore era risorto il primo giorno della settimana ; questo giorno era ora divenuto, settimana per settimana, il giorno in cui si faceva memoria della novità che era accaduta. I discepoli non dovevano quindi limitarsi a guardare indietro, per ricordare qualcosa di passato: il Risorto vive; per questo il giorno della risurrezione era di per se stesso il giorno della sua presenza, il giorno in cui egli li chiamava a raccolta, in cui essi si ra-dunavano intorno a lui. La domenica come giorno della risurrezione divenne così il punto di partenza inte-riore, il luogo interiore per la celebrazione dell'eucaristia della Chiesa nascente. A partire da qui essa ricevette la sua forma. Proprio in questo momento essa viene tratta dal terreno della Pasqua ebraica e trapiantata nel contesto della risurrezione: essere festa della risurrezione, è questa la sua vera essenza. Già all'inizio del Il secolo Ignazio di Antiochia definiva i cristiani come coloro che «vivono secondo la domenica»', che vivono, cioè, a partire dalla risurrezione, dalla sua presenza nella celebrazione eucaristica. Era così posto il Fondamento per la nuova forma della celebrazione eucaristica. Dopo il pasto terreno, i credenti si radunano per celebrare, nel ringraziamento e nella lode, la presenza della morte e risurrezione del Signore. Dall'ultima cena, secondo una linea di necessità interna, è derivata una festa che implica la gioia. Ancora una volta poi sappiamo dagli Atti degli apostoli che i cristiani celebravano l'eucaristia con canti di lode, e dal V capitolo della Lettera agli Efesini (5,19; cfr. anche Col 3,16) ma anche da molti altri passi neotestamentari  che essi glorificavano il Signore con salmi, inni e cantici.

Con questo trapianto nel nuovo contesto della Risurrezione, senza la quale l'eucaristia sarebbe solo ricordo di un distacco senza ritorno, emersero due novità: adorazione e canto di lode, vale a dire il suo carattere cul-tuale, insieme con la gioia per la gloria del Risorto.

Tuttavia, in tal modo, la forma eucaristica, la forma della liturgia della Chiesa, non era ancora definita del tutto. Dobbiamo riflettere sul fatto che il culto giudaico prevedeva due partì: uno era il culto sacrificale nel tempio, dove venivano presentate le diverse offerte secondo le prescrizioni della legge. Accanto a questo cul-to nel tempio, che era e poteva essere solo a Gerusalemme, si sviluppò sempre più un secondo ambito cul-tuale: la sinagoga, che poteva essere in qualunque luogo. In essa veniva celebrata la liturgia della Parola, ve-niva letta la Sacra Scrittura, venivano recitati i Salmi, si lodava insieme Dio, si spiegava la Parola, si levavano preghiere a Dio. Dopo la risurrezione di Gesù, i suoi discepoli cessarono di prendere parte al culto nel tempio. Non potevano più farlo, dato che il velo del tempio era squarciato, ovvero che il tempio era vuoto. Il tempio non era più l'edificio di pietra, ma il Signore, che si era aperto al Padre come il tempio vivente e che, in tal modo, aveva manifestato il Padre all'umanità. Al posto del tempio subentra l'eucaristia, poiché Cristo è il vero agnello pasquale; in lui si è compiuto tutto quello che era accaduto nel tempio. D'altra parte, se è pur vero che i discepoli, per questa ragione, non partecipavano più ai sacrifici cruenti del tempio, ma, in loro vece, celebravano il nuovo agnello pasquale, continuarono tuttavia, proprio come prima, a partecipare alla liturgia nella sinagoga. La Bibbia di Israele era infatti la Bibbia di Gesù Cristo.

Essi sapevano che tutta la Sacra Scrittura - la Legge e i Profeti - parlava di lui; hanno quindi cercato di leggere questo santo libro dei padri insieme con Israele, ma a partire da Gesù, per aprire così il cuore di Israele a Gesù stesso. Hanno continuato a pregare i Salmi insieme con gli israeliti, per pregarli così insieme con Gesù e renderli manifesti nella Nuova Alleanza, comprendendoli, cioè, a partire da lui. Allo stesso tempo, però, possiamo seguire nei testi del Nuovo Testamento quel tragico percorso, in cui, gradatamente, andò in pezzi anche quanto rimaneva questa unità con Israele. Non si riuscì a portare tutto Israele a leggere la Bibbia come parola di Gesù Cristo e per Gesù Cristo. La sinagoga si chiuse rapidamente a una tale interpretazione della Sacra Scrittura e verso la fine del primo secolo la separazione era ormai compiuta. Nella sinagoga non era più possibile comprendere la Scrittura con Gesù.

A questo punto Israele e la Chiesa procedono l'uno accanto all'altra, separatamente. La Chiesa era divenuta fino in fondo una realtà propria. Dato che ora non poteva più edere parte alla liturgia della parola di Israele, essa dovette svilupparla in proprio. Ciò significò anche di necessità, le due parti della liturgia sino ad allora separate arrivassero a incontrarsi e a compenetrarsi: la liturgia della parola si unisce a quella eucaristica ; ora, nel momento in cui essa ha trovato la forma perfetta di un culto cristiano definito e la Chiesa si presenta perciò sino in fondo come Chiesa, questo insieme è spostato alla domenica mattina, nell'ora della risurrezione; la logica della risurrezione giunge al suo scopo. Con ciò era giunta a compimento la forma essenzialmente cristiana quale la incontriamo ancora oggi nelle’Eucarestia della Chiesa.



*) Didaché, X, 6.



Joseph Ratzinger, Il Dio vicino, pagg. 59-63. Ed. SAN PAOLO

Tuesday, July 27, 2010

EUCARESTIA § FESTA

La villeggiatura è un periodo di festa familiare. Ma resterebbe una festa di serie B se mancasse la partecipazione gioiosa alla santa messa festiva. Resterebbe una festa superficiale, semplice dispersione e stordimento, come diceva Benedetto XVI in un’omelia raccolta nel libro : Josef Ratzinger, Il Dio vicino, l’eucarestia cuore della vita cristiana. Ed. SAN PAOLO


Ma questo significa che l'eucaristia è molto più che una semplice cena; il suo prezzo è stato una morte e la maestà della morte è presente in essa. Quando ci accostiamo a essa, deve riempirci il rispetto per questo mistero, il timore davanti al mistero della morte che si fa presente in mezzo a noi. Presente è certamente anche il fatto che questa morte è stata superata dalla risurrezione e che, quindi, noi possiamo affrontare questa morte come la festa della vita, come la trasformazione del mondo. In tutti i tempi e tra tutti i popoli gli uomini, nelle loro feste, hanno in definitiva cercato di sfondare la porta della morte. Una festa resta alla superficie - semplice dispersione e stordimento - fintanto che non tocca questa ultima domanda. La morte è la domanda di tutte le domande e dove essa è messa tra parentesi, non vi è, in definiva, alcuna risposta. So¬lo dove si risponde a essa, l'uomo può davvero festeggiare e diventare libero. La festa cristiana, l'eucaristia, arriva fino a questa profondità della morte. Non è semplicemente un pio intrattenimento e un momento di divagazione, una sorta di abbellimento o ornamento religioso del mondo; essa arriva fino al fondamento più profondo, poiché in essa è chiamata per nome la morte e ci è posta di fronte la strada per la vita, che. supera la morte. (pag.41)

Friday, July 16, 2010

Mondiali e battesimo

Sneijder diventa cattolico: la forza della santa Messa

"Insieme ai miei compagni sono andato una volta a messa e ho percepito nel loro modo di prendervi parte una tale forza e una tale fiducia da rimanerne turbato"

Dopo la partita Olanda VS Giappone, sotto la maglietta del campione interista Wesley Sneijder in molti hanno notato un rosario, simbolo della conversione del giocatore. La notizia sta rimbalzando su tutti i quotidiani sportivi. Sneijder è infatti diventato cattolico dopo un percorso iniziato con l’amore per la sua ragazza Yolanthe Cabau. Si è così fatto battezzare in una cerimonia celebrata alla Pinetina di Appiano Gentile prima di partire con la Nazionale arancione per i Mondiali in Sudafrica. Lo stesso giocatore racconta al giornale “de VolksKrant”: «Ad Appiano c’è una cappella e lì mi sono fatto battezzare. Insieme ai miei compagni sono andato una volta a messa e ho percepito nel loro modo di prendervi parte una tale forza e una tale fiducia da rimanerne turbato». Molto del merito va anche a capitan Zanetti, cattolico praticante, che ha mediato con il cappellano e, accelerando i tempi, ha fatto seguire a Sneijder il corso di catechismo necessario per gli adulti prima di ricevere il sacramento. Wesley abita a cento metri dal Duomo e racconta delle sue giornate di preghiera: “Prego ogni giorno, e seguo con Yolanthe ogni domenica le funzioni. La fede è un qualcosa che mi dà forza. Alle volte le mie convinzioni mi mantengono saldo e determinato, a volte prego per avere più forza. Ogni giorno, poi, recito il Padre Nostro con Yolanthe. Cerco sempre un angolo prima delle partite per pregare”.

Recensioni 2










         

  Brevi ma efficaci presentazioni di libri (sopratutto nel settore della narrativa e della saggistica) acquisiti recentemente dalla biblioteca del Centro ELIS e disponibili per il prestito.

Paolo De Marchi, Da Tiziano a Pollock, Edizioni Ares, Milano 2009, pp. 414.

L'autore è notaio e fine conoscitore d'arte. Il libro è una sorta di viaggio ideale - visitando mostre e musei - lungo cinque secoli di storia dell'arte, viaggio che De Marchi conduce esprimendo con maestria giudizi puntuali anche riguardo ad artisti meno noti anche se validissimi. Un esempio è quello di Edward Hopper (1882-1967), che De Marchi definisce esattamente "uno dei maggiori pittori contemporanei, anche se la sua fama, non molto diffusa al di fuori degli Stati Uniti, è assai al di sottodi quanto meriterebbe".
  Il capitolo dedicato a Hopper mostra con chiarezza la capacità interpretativa di De Marchi e la sua precisione analitica, non sempre diffuse fra critici d'arte, spesso ricchi di supponente fumosità. Per incontrare invece critici d'arte di grandissimo rilievo, si può leggere l'interessante sezione "L'arte di leggere l'arte", ovvero "la difficile operazione che è la critica d'arte", attraverso critici di primo piano, quali Federico Zevi, Francesco Arcangeli, Mario Praz.
    Il libro si chiude col caso del controverso (e superpagato) "pittore" (si fa per dire) Andy Warhol, del quale viene descritta una mostra consistente in una serie di foto che ritraggono Mao: "decine e decine di ritratti piccoli, medi, grandi... eseguiti tutti con lo stesso metodo: una foto di Mao, sempre la stessa, riproposta in ripetizioni estremamente deumanizzate". E De Marchi lucidamente tira le somme: "In sostanza si è di fronte a un'operazione condotta a freddo e cerebralmente... Restano lì le trovatine fatue, i giochetti sterili, lo spreco dell'intelligenza (se c'è): il tutto in un clima un po' stagnante di disimpegno morale".

Fernando Ocariz, Lucas F. Mateo-Seco , José Antonio Riestra, Il Mistero di Cristo. Manuale di Cristologia, Editrice Apollinare Studi, Roma 1991, 335 pp.

Fernando Ocariz e José Antonio Riestra sono docenti di Teologia presso l'Università Pontificia della Santa Croce e Lucas F. Mateo-Seco presso l'Università di Navarra. Con questo volume hanno inteso fornire un utile strumento di studio sull'argomento centrale della teologia cristiana: il "Mistero di Cristo", infatti "la cristologia sta al centro della dogmatica cattolica, che è cristocentrica" (K.Adam).
L'intenzione degli Autori non è solamente accademica, ma intende soprattutto aiutarli a conseguire quanto scriveva San Paolo ai cristiani di Efeso: "Siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio" (Ef. 3, 18-19). Ciò richiede che la lettura e lo studio vengano affrontati con atteggiamento contemplativo davanti al mistero di Cristo, poiché "la verità del Signore si studia con la fronte china; si insegna e si predica nell'espansione dell'anima che crede in lei, che l'ama e che la vive" (Giovanni Paolo II).
    Il testo tratta, con profondità ma chiarezza, di tutto il "percorso" teologico del "Mistero di Cristo: l'attesa del Messia presso gli Ebrei, la vita terrena di Cristo dalla nascita alla Passione, la natura della Redenzione, la Persona di Cristo Via, Verità e Vita. Assieme alla corretta dottrina cattolica sono anche esposte teorie le principali dottrine cristologiche eterodosse, confutate con precisione.


Oscar Sanguinetti e Ivo Musajo Somma, Un cuore per l' Europa. Appunti per una biografia del Beato Carlo d' Asburgo, D'Ettoris Editori, Crotone 2004, pp. 223.

Questo libro è la biografia di un imperatore che seppe vivere da autentico cristiano nel mezzo di una tragedia che disgregò il suo impero.
Nel novembre 1916, nel pieno della devastante I Guerra Mondiale, moriva a Vienna Francesco Giuseppe d'Asburgo, Imperatore dell'Austria-Ungheria, e suo figlio Carlo assumeva la carica imperiale. Il nuovo giovane imperatore assunse, soprattutto nel 1917, molte iniziative per giungere a una pace fra le nazioni in conflitto, ma uno dopo l'altro i tentativi fallirono, soprattutto ad opera dei sempre più diffusi nemici dell'ordine austro-ungarico (pangermanici, panslavisti, social rivoluzionari filo-sovietici, le logge massoniche,...).

Quindi il massacro continuò e alla fine del 1918 avvenne la sconfitta e la disgregazione dell'Impero Austro-Ungarico, e l'Imperatore Carlo, la moglie Zita e la sua famiglia finirono per trovarsi abbandonati da tutti. Nel 1919 il nuovo parlamento repubblicano cercò di ottenere l'abdicazione formale di Carlo, che però ripetutamente rifiutò, per mantenere il suo giuramento come Imperatore austro-ungarico. La coppia imperiale venne allora a trovarsi prigioniera di fatto, e quindi confinata in una disagevole villetta della lontana isola di Madera, priva di mezzi di sostentamento. Fortunatamente Carlo e Zita furono raggiunti dai figli, così che la famiglia si ricostituì. Un momento quotidiano di intima unione famigliare era la serale recita del rosario.
Nel marzo 1922 a Carlo - da tempo affetto da malattia polmonare - venne diagnosticata una polmonite, che il 1° aprile lo portò alla tomba. Non aveva ancora compiuto 35 anni. Si conservano le sue ultime parole, fra le quali:Tutta la mia aspirazione è sempre riconoscere chiaramente in tutte le cose la volontà di Dio e seguirla, e ciò nella maniera più perfetta.
   Con il passare degli anni la fama delle virtù umane e cristiane di Carlo d'Asburgo crebbe sempre più fino a concretarsi in un processo canonico le cui tappe fondamentali furono il decreto sull'eroicità delle virtù (14 aprile 2003) e il riconoscimento del miracolo (21 dicembre 2003), a cui seguì la solenne cerimonia della Beatificazione in piazza San Pietro, per mano del Papa Giovanni Paolo II, il quale, nell'omelia lo ha ritratto così: «Un esempio per chi ha responsabilità politiche in Europa».


Paola Binetti, La famiglia tra tradizione e innovazione, Edizioni Magi, Roma 2009, pp. 255.



L'Autrice - neuropsichiatra e direttore del Dipartimento per la Ricerca Operativa dell'Università Campus Biomedico di Roma e con una profonda esperienza nel campo della psicoterapia famigliare - si confronta con il cruciale argomento della frantumazione dei modelli di famiglie e della loro proliferazione, in una società sempre più competitiva, in cui il singolo pretende sempre maggiore autonomia, a detrimento della famiglia.
   Il libro si compone di cinque capitoli che studiano l'itinerario evolutivo della famiglia, con l'intento di evidenziare il contributo della famiglia per l'intero sistema sociale. Dopo un'approfondita riflessione sull'ambiente sociale in cui si trova oggi la famiglia, ci si rivolge alla contemporanea vita di coppia, e in particolare sulla fragilità che si manifesta soprattutto nelle coppie giovani.
    Si affronta poi il tema del passaggio dalla vita "a due" al paradigma della "genitorialità", un passaggio sovente assai problematico: troppo spesso nelle giovani coppie il desiderio di diventare genitori è posposto ad altri obiettivi (autonomia economica, realizzazione professionale,...).
   Una parte rilevante è dedicata al problema degli omosessuali che chiedono "diritti" che vanno ben oltre la doverosa sfera dei diritti individuali e invadono il campo della famiglia, pretendendo una equiparazione fra la "coppia omosessuale" e la famiglia naturale, con gravi conseguenze. L'autrice, pur mostrando chiaramente larghezza di vedute si dichiara contraria a tale omologazione.
   L'Autrice conclude il suo approfondito studio osservando che questi ultimi anni hanno richiamato l'attenzione al valore che la famiglia costituisce per gli individui e la società. Si è evidenziata una famiglia molto complessa e sfaccettata, la quale però - malgrado la crisi che indubbiamente l'investe - continua a conservare un ruolo fondamentale e insostituibile nella società. Società che però non può continuare a sottovalutare la funzione primaria della famiglia, e deve invece intervenire nei propri ambiti culturale, economico, politico e sociale.


Helene e Jean Bastaire, Per un'ecologia cristiana, Ed. Lindau, Torino 2008, pp. 80


L'accusa, nata nei paesi di lingua inglese e diffusasi rapidamente, che la responsabilità morale dell'attuale devastazione ecologica della Terra, sarebbe in buona parte da attribuire alla cosiddetta "mentalità giudaico-cristiana", ebbe uno dei primi sostenitori Lynn Withe jr., che nel 1967 teorizzò che all'origine del disastro ecologico ci sarebbe il comando biblico col qualel'uomo sarebbe stato spinto a perseguire il dominio incondizionato sulla natura
   Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra" (Genesi, 1, 28).
Opponendosi a questa teoria, peraltro senza alcun fondamento, gli autori del libro capovolgono la tesi e mostrano che, semmai, il saccheggio ecologico del pianeta è stato invece causato dal disprezzo della creazione stessa.
     Purtroppo bisogna rilevare che una considerevole quantità di citazioni di "pensatori" (che gli autori del libro definiscono "cristiani") non sono altro che affermazioni di quel coacervo di pseudo-dottrine gnostico-panteistiche, che nell'ecologismo "spirituale" hanno il proprio habitat.

Tuesday, July 06, 2010

LA’ DOVE CIELO E TERRA SI INCONTRANO


Nel 2001, l'allora cardinal J. Ratzinger, dava alle stampe un libro dal titolo "Il Dio vicino. l'eucarestia  cuore della vita cristiana" (ed. Paoline). E' terminato il mese di giugno ma è sempre Gesù il cuore della vita cristiana. In modo particolare attraverso il dono dell'Eucarestia.
In questa pagina tratta dal libro di un sacerdote veronese , si trova una efficace  sintesi sulla centralità della santa Messa nella vita del cristiano. FERDINANDO RANCAN, Là dove cielo e terra si incontrano. La preghiera e la Messa nella vita del cristiano .  http://www.webalice.it/paoloconti1/don_ferdinando/la_dove_cielo_e_terra.pdf



La preghiera più grande: la Santa Messa

E veniamo al momento più intenso e culminante della nostra preghiera: la santa Messa. Vi ho già ricordato che l’Eucarestia è la più alta e sublime preghiera che mai sia stata fatta sulla terra, perché è lo stesso sacrificio compiuto da Gesù sulla croce. La Chiesa è scaturita ed è cresciuta sempre intorno all’Eucaristia e lo stesso avviene per la vita spirituale di ogni cristiano. Perciò la Santa Messa è chiamata dal Concilio Vaticano II: “Fonte e apice di tutta la vita cristiana”. Vorrei che questa espressione fosse anche per voi non solo un richiamo a tutta la meravigliosa dottrina teologica intorno alla Santa Eucaristia e alla Santa Messa, ma vorrei che fosse anche un’esperienza gustosamente vissuta nella vostra vita di discepoli del Signore.
Fare della Santa Messa il centro della vita spirituale vuol dire portare a Dio, attraverso il sacrificio del suo figlio Gesù, consegnandola nelle sue mani trafitte, tutta la vostra giornata: il lavoro, la fatica, le gioie, gli affetti, le preoccupazioni e anche le vostre debolezze e, insieme, nutrendovi del Corpo dolcissimo di Cristo che diventa cibo e viatico per il vostro cammino, identificarvi con lui facendovi testimoni del suo amore nel mondo, e significa anche prendere la croce del Signore e piantarla in mezzo a tutte le attività umane. Perciò, quando qualcuno mi dice che ha la fede, che crede con tutta convinzione nel Signore ma non frequenta o frequenta solo raramente la Santa Messa, devo rispondergli che la sua fede è ben poca cosa, che è ben lontana da quella fede che trova nell’Eucaristia non solo il suo mistero più alto - misterium fidei - ma anche la sua consumata perfezione nell’amore: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”(Gv. 6,56).
Fratelli miei, desiderate la Messa, amate la Messa, vivete la Messa. Esiste un comandamento del Signore che ci ordina di santificare il suo giorno ed esiste un precetto grave della Chiesa che indica nell’incontro di ciascuno e di tutti con l’Eucaristia il modo insostituibile di santificare la domenica e le altre feste indicate dalla Chiesa. Ebbene, invitandovi caldamente a compiere con sincerità e umiltà questo atto di obbedienza a Dio e alla Chiesa, vi esorto anche:”Non fate le cose soltanto quando vi sono comandate
Non limitatevi strettamente al precetto, liberate l’amore dentro il vostro cuore, lasciate agire la fede viva e forte che accende il desiderio della santità e di una vita generosamente cristiana; il Signore viene verso di voi con l’abbondanza del suo amore e dei suoi doni, non rispondete come gli invitati della parabola lasciando cadere l’invito, non chiudetevi dentro l’indifferenza o l’insensibilità che trovano facili scuse per sottrarsi all’amore. Se voi conoscete solo la misura indicata dall’obbligo, come potete capire il Signore che conosce la misura dell’amore?
Nelle nostre chiese vi vengono offerte tutti i giorni sante messe nelle ore più comode e più accessibili: al mattino per le persone che possono disporre del mattino, come le madri di famiglia, gli anziani...; al pomeriggio per le persone che possono disporre del pomeriggio; alla sera per coloro che, terminato il lavoro, sulla strada di casa possono godere di questo incontro con il Signore e portare a lui le fatiche della loro giornata. Fratelli miei, un giorno il Signore ci chiederà conto di tante possibilità che egli vi ha offerto e di cui, forse, abbiamo profittato così poco.
Cercate infine di partecipare alla Santa Messa con le migliori disposizioni interiori: raccoglimento, l’umiltà, la contrizione; combattete la fretta fermandovi per qualche minuto di ringraziamento e lottate contro le distrazioni penetrando con la fede il rito che seguite con i sensi. Pensate alla fortuna enorme che abbiamo - è un dono stupendo della sua misericordia - di poter raggiungere, oggi, il Signore Gesù nel mistero pasquale della sua passione, morte e risurrezione, e vedere così compiersi in noi la sua salvezza. L’Eucaristia, annullando tanti secoli e tanta distanza, ci rende il Signore così vicino da poterlo toccare e mangiare, da potergli dire le cose più intime come se sentissimo il battito del suo cuore divino. Che il Signore vi aiuti a capire tutto questo; vi dia purezza di fede e generosità di amore, perché non avvenga che Egli debba aspettare inutilmente.

Bibliografia sulla Santa Messa e L'Eucarestia:

Giovanni Paolo II, Dies Domini
Benedetto XVI, Sacramentum caritatis
San Josemaria , Ti adoro Dio nascosto,Omelie

Catechismo della Chiesa Cattolica:n. 1322-1419; 2168-2195.
Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica: n. 233-249; 271-294; 450-454
Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucaristia, 2003
Giovanni Paolo II, Mane nobiscum Domine, 2004
Joseph Ratzinger, Il Dio vicino. L'Eucaristîa cuore della vita cristiana, San Paolo, 2005
Javier Echevarría, Eucaristia y vida cristiana, Rialp, 2005
Javier Echevarría, Vivir la Santa Misa, Rialp, 2009
Card. Bona, Mistero d'amore, Ares, 2003
Federico Suarez, Il sacrificio dell'altare, Ares, 2008
Andrea Mardegan, Ho desiderato ardentemente. Incontrare Gesù nell'Eucaristia, Paoline, 2005
Preghiere, Ares
Messale quotidiano per i fedeli