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Friday, September 30, 2011

L'Angelo Custode


Questa poesia si trova nel bel volume di ROBERT LOUIS STEVENSON "Il mio letto è una nave. Poesie per grandi incanti e piccoli lettori.".  Ma chi è il compagno invisibile dell'omonima poesia?









Il compagno invisibile


Se vedi un bambino che gioca da solo
nel bosco, in un prato, in casa o su un molo
stai certo che accanto, in piedi o seduto,
con lui c'è l'amico che mai fu veduto.

Nessuno lo ha visto e nessuno lo ha udito,
e anche il suo viso non è definito,
perché non si vede e neppure si sente,
ma a casa o in giardino è sempre presente.

Nascosto nel lauro, là dietro i covoni
lui canta con te ogni volta che suoni,
se tu sei felice e non sai dir perché
l'amico invisibile è certo con te.

È piccolo, e piccolo vuole restare,
se scavi una buca ci va ad abitare,
è lui quando giochi coi tuoi soldatini
che sta coi francesi sconfitti e meschini.

E quando la notte ti spinge al tuo letto
ti avvolge di un sonno sereno e perfetto
e ovunque tu abbia riposto i balocchi
è lui che ti veglia, e non chiude mai gli occhi.


ROBERT LOUIS STEVENSON

Saturday, September 10, 2011

8 e 12 settembre : AUGURI MADRE

Festeggiamo, molto vicine, le due feste della Madonna, nostra madre.

Maria la madre del Messia è veramente nostra madre. Come spiega André Feuillet (Maria: madre del Messia, madre della Chiesa. ed Jaca Book). nel commentare il versetto di s. Giovanni «Donna, ecco il tuo figlio! Figlio, ecco la tua madre!». E’ evidente che non possiamo pensare che queste parole di Gesù crocifisso rappresentino solo un gesto di pietà filiale. Tutto il contesto della scena del Calvario è messianico. Inserita in tale contesto, questa maternità e questa filiazione non possono che essere messianiche. La maternità di Maria, qui proclamata, si ricollega molto intmamente alla maternità messianica messa in rilievo dai racconti dell’infanzia di Matteo e di Luca.... Il posto privilegiato che san Giovanni (19,25-27) assegna alla Vergine Maria nell'economia della nuova alleanza non deriva da una decisione arbitraria di Cristo crocifisso, come se Gesù, d'improvviso, in quel momento, avesse voluto darci Maria come madre. Questo posto privilegiato, assegnato alla madre di Cristo nella nuova alleanza, deriva dalla parte attiva assunta liberamente dalla Vergine Maria nella realizzazione del mistero dell'incarnazione redentrice. Questa parte, Maria l'assunse al momento dell'incarnazione, quando pronuncíò il suo Fiat, e, in seguito, al momento della passione, quando aderì con tutto il cuore al misterioso piano divino che per lei era estremamente, supremamente crocifiggente. Qui devo ripetere per il dramma del Calvario ciò che ho detto per l'incarnazione: ancora una volta, Maria dà la sua libera adesione a una volontà divina che interessa contemporaneamente il Messia e il popolo messianico.(pp. 42-43)

Maria è quindi corredentrice  “Nel giorno in cui era diventata la madre di Gesù per l'incarnazione e la nascita, Maria aveva già ricevuto, in principio, questo incarico; nel momento in cui nel dolore della croce, Gesù genera definitivamente la Chiesa con la sua morte, Maria è presente, per completare la sua opera di madre.(p. Benoit, Passion e resurrection du Seigneur)

Nellimmagine del  portale della basilica di S. Maria Maggiore in Tuscania,viene rappresentato un accostamento significativo: Abramo (il sacrificio di Isacco) e l’offerta della Sede Sapientiae (l’Agnello di Dioche stà per essere immolato). La Madonna offre e si offre con il Figlio per la redenzione del mondo.

..il cosciente programma iconografico risponde ad un preciso valore didattico. La figura di Maria in trono definisce l'allegoria testamentaria di Sedes Sapientiae, la bulla al suo collo è simbolo della maternità senza corruzione sottolinea l'aspetto soprannaturale del parto della Vergine-Madre (nel diritto romano essa simboleggiava l'integrità fisica naturale e veniva tolta al momento delle nozze): la Sapientia, cioè il bambino assiso sul trono con Maria, è raffigurato adulto, autoritario,con la mano destra benedicente. La sintassi narrativa del programma si perfeziona negli exempla che contornano il gruppo principale: le scene vetera-testamentarie di Balaam, un re-indovino arameo i cui vaticinii sono interpretati come previsioni della venuta del Messia e del sacrificio di Isacco, prefigurazione della dedizione totale, fino alla morte, del Redentore. e l'episodio neo-testamentario della Fuga in Egitto messaggio di salvezza che adombra la resurrezione. L’esposizione metaforico-narrativa si conclude nella figura dell'Agnello Mistico, simbolo del cristologico eucaristico. (pag. 17 , Fulvio Ricci, Chiesa di S. Maria Maggiore di Tuscania” )



Thursday, June 23, 2011

Come ricondurre il mondo a Dio: il messaggio di san Josemaria Escrivà

Nel secondo volume di “Gesù di Nazareth” Benedetto XVI approfondisce il duplice significato della parola “mondo”. Da un lato essa indica tutta la buona creazione di Dio e dell’uomo, dall’altra designa il mondo umano come storicamente si è sviluppato nella corruzione, nella menzogna e nella violenza . La missione di Gesù non sta solo nella salvezza dell’uomo ma tende a far sì che tutto il mondo torni ad essere di Dio.

Questo mondo “cosmos” buono può essere amato appassionatamente dal cristiano quando scopre che con il suo lavoro, con la sua attiva partecipazione alle vicende piccole e grandi della storia può realizzare la sua vocazione di creatura e di figlio di Dio, dando gloria al Creatore. E’ questo l’ispirazione divina che un giovane sacerdote negli anni trenta del secolo scorso ha ricevuto e ha sviluppato fondando una istituzione nuova nella Chiesa: l’Opus Dei.
"Ho insegnato incessantemente, con parole della Sacra Scrittura, che il mondo non è cattivo: perché è uscito dalle mani di Dio, perché è creatura sua, perché Jahvè lo guardò e vide che era buono. Siamo noi uomini a renderlo cattivo e brutto, con i nostri peccati e le nostre infedeltà. Siatene pur certi, figli miei: qualsiasi specie di evasione dalle realtà oneste di tutti i giorni significa per voi uomini e donne del mondo, il contrario della volontà di Dio. Dovete invece comprendere adesso - con una luce tutta nuova - che Dio vi chiama per servirlo nei compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di un'università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro, Dio ci aspetta ogni giorno. Sappiatelo bene: c'è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire........ Si comprende bene, figli miei, perché l'apostolo poteva scrivere: «Tutte le cose sono vostre, voi siete di Cristo e Cristo è di Dio». Si tratta di un moto ascensionale che lo Spirito Santo, diffuso nei nostri cuori, vuole provocare nel mondo: dalla terra, fino alla gloria del Signore. E perché non ci fosse dubbio che in questo moto si includeva pure ciò che sembra più prosaico, san Paolo scriveva anche: « Sia che mangiate, sia che beviate, fate tutto per la gloria di Dio »"  Omelia pronunciata nel campus dell'Università di Navarra, l'8-X-1967)

Proprio questa è la missione di Gesù, nella quale i discepoli vengono coinvolti: condurre il « mondo »fuori dall’alienazione dell’uomo da Dio e da se stesso, affinché il mondo torni ad essere di Dio e l’uomo, nel diventare una cosa sola con Dio, torni ad essere totalmente se stesso
J.RATZINGER, BENEDETTO XVI, Gesù di Nazareth, pag. 117
 

Thursday, June 16, 2011

Esistere § vivere. La vita interiore è vita reale

Benedetto XVI in Gesù di Nazareth  affrontando il tema della preghiera chiarisce che a vita interiore è vita reale e che la vita eterna non è la vita che viene dopo la morte ma è la vita stessa che può essere vissuta anche nel tempo e che poi non viene più contestata dalla morte fisica.

"L’espressione « vita eterna » non significa – come pensa forse immediatamente il lettore moderno – la vita che viene dopo la morte, mentre la vita attuale è appunto passeggera e non una vita eterna. « Vita eterna » significa la vita stessa, la vita vera, che può essere vissuta anche nel tempo e che poi non viene più contestata dalla morte fisica. E ciò che interessa: abbracciare già fin d’ora«la vita», la vita vera, che non può più essere distrutta da niente e da nessuno.
Questo significato di «vita eterna» appare in modo molto chiaro nel capitolo sulla risurrezione di Lazzaro: « Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno» (Gv ll,25s). «Io vivo e voi vivrete», dice Gesù ai suoi discepoli durante l’ultima cena (Gv 14,19), mostrando con ciò ancora una volta che per il discepolo di Gesù è caratterizzante che egli « vive » – che egli quindi, al di là del semplice esistere, ha trovato ed abbracciato la vera vita, della quale tutti sono in ricerca. In base a tali testi, i primi cristiani si sono chiamati semplicemente « i viventi» (hoi zöntes). Essi avevano trovato ciò che tutti cercano: la vita stessa, la vita piena e perciò indistruttibile.
   Ma come si può giungere a ciò? La Preghiera sacerdotale dà una risposta forse sorprendente, ma nel contesto del pensiero biblico già preparata: la « vita eterna » l’uomo la trova mediante la « conoscenza » - presupponendo con ciò il concetto veterotestamentario di «conoscere», secondo cui conoscere crea comunione, è un essere tutt’uno con il conosciuto. Ma naturalmente non qualunque conoscenza è la chiave della vita, bensì il fatto «che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (17,3). Questa è una specie di formula sintetica della fede, nella quale appare il contenuto essenziale della decisione di essere cristiani – la conoscenza donata a noi dalla fede. Il cristiano non crede una molteplicità di cose. Crede, in fondo, semplicemente in Dio, crede che esiste solo un unico vero Dio. Questo Dio, però, gli si rende accessibile in Colui che Egli ha mandato, Gesù Cristo: nell’incontro con Lui avviene quella conoscenza di Dio che diventa comunione e con ciò diventa «vita». Nella formula duplicata – « Dio e colui che ha mandato » – si può sentire l’eco di ciò che ricorre molte volte soprattutto negli oracoli del Signore presenti nel Libro dell’Esodo: devono credere in « me » – in Dio – e in Mose, il suo inviato. Dio mostra il suo volto nell’inviato – in definitiva nel Figlio suo. «Vita eterna» è quindi un avvenimento relazionale. L’uomo non l’ ha acquisita da sé, per se soltanto.
      Mediante la relazione con Colui che è Egli stesso la vita, anche l’uomo diventa un vivente.
BENEDETTO XVI, Gesù di Nazareth,  (2) .pp. 98-99

Saturday, June 11, 2011

Marshall Mcluham : 21 luglio 2011

Un centenario da ricordare nei "media" ?
Lui ci avrebbe scherzato con il senso di humor che aveva tanto apprezzato in  Gilbert Keith Chesterton, lo scrittore e polemista cattolico che segnò la conversione di McLuhan alla Chiesa di Roma. Come scrive Guido Vitiello nel FOGLIO del 4 giugno 2011 " Dall’autore di Ortodossia McLuhan mutuò il tono della sua fede e, quel che più conta, della sua persona pubblica. Era il tipo antropologico del cattolico ridens, del tomista allegro, tutto umorismo, sprezzatura cavalleresca e meraviglia per le cose di questo mondo. Insomma, la risposta vivente a un’osservazione crucciata di Nietzsche, che si chiedeva come mai i cristiani non avessero “un aspetto più da gente salvata”.  McLuhan sottolinea l'importanza che nell'uomo ha il gioco . L' homo ludens messo così bene in luce da J. HUIZINGA nel suo celebre saggio "Homo ludens" del 1939.
"
L'idea di gioco sottolinea il rapporto complementare che esiste tra autore e lettore, la complicità "fattiva che deve instaurarsi tra più soggetti per giungere a una rivelazione: «Tra tutti i momenti della vita deve esserci “gioco” , come tra un asse e una ruota, un albero di trasmissione e un volano [...]. Se c'è gioco, l'uomo è creativo; se c'è stridore, l'uomo si stanca. Quando l'uomo si prende troppo sul serio, non ha più "gioco", perde contatto [...] è up tight, teso [...]». E da questa considerazione che nasce uno degli aforismi più significativi di McLuhan: “Quando gioca, l'uomo usa tutte le sue facoltà; quando lavora, si specializza”. E’ importante sottolineare questo aspetto o meglio questa intenzione ludica della comunicazione mcluhaniana, poiché proprio il gioco, soprattutto quello verbale che sfocia nello humour, è considerato da McLuhan fattore di per se stesso a forte valenza euristica, proprio per il suo potenziale percettivo: «Crediamo che lo humour sia un segno di sanità mentale per un ottimo motivo: nel divertimento e nel gioco recuperiamo la persona integrale che nel mondo lavorativo o nella vita professionale può usare solo una piccola parte del proprio essere». Il gioco verbale diventa così momento fondamentale, poiché riporta l'equilibrio nella percezione, equilibrio perso nel quotidiano per effetto della "specializzazione", che ancora caratterizza la nostra società, così come il nostro sapere; una società, quella occidentale, in cui l'emisfero sinistro domina su quello destro, ovvero una società guidata dalla logica e dalla ragione a discapito dell'immaginazione, dell'intuizione. L'ironia e lo humour sono, per contrappunto, armi preziosissime tanto per il fool che per McLuhan, poiché permettono di "colpire" rovesciando sentimenti e valori universalmente condivisi: il divertissement si fa così arma a doppio taglio, poiché l'effetto ludico poggia sul rovesciamento del canone (culturale, linguistico, espressivo) e ha, come controeffetto, quello di forzare, la presa di coscienza, l'epifania.


E. LAMBERTI, Marshall McLuhan, pagg.36-37. Ed. MONDADORI

Storie dalla NBA

Dwyane Wade è già stato in paradiso ed è già stato all’inferno. Sul tetto del mondo, campione NBA, il 20 giugno 2006, giorno di gara-6 tra Miami e Dallas. E sul fondo della Lega meno di due anni dopo, il 16 aprile 2008, quando i suoi Heat chiudono il campionato con un rara vittoria su Atlanta – solo la 15esima dell’anno – inutile per evitare la vergogna di essere la 30esima franchigia su 30 della NBA. Ma Dwyane Wade era già stato in paradiso e all’inferno prima. Molto prima. L’inferno l’aveva conosciuto a 6 anni, con una pistola puntata alla sua testa, durante un raid della polizia di Chicago nella sua casa nel South Side. Gli agenti non erano certo lì per lui, ovvio. Ma per sua madre sì. Ed ecco perché in paradiso Dwyane Wade ci si era già sentito l’8 marzo 2003, nell’ultima gara interna della sua carriera universitaria a Marquette, una vittoria contro Cincinnati buona per il primo titolo della Conference USA del suo ateneo. Il successo sportivo, quel giorno, era la parte meno importante. Tra il pubblico, infatti, a celebrare il titolo anche mamma Jolinda. Normale, direte voi? Non così normale, dato che la signora era uscita di prigione solo 3 giorni prima. Quell’8 marzo – finalmente libera dopo 14 mesi di reclusione, finalmente riunita al suo “bambino” – Jolinda Wade era ovviamente in paradiso. Ma anche per lei, soprattutto per lei, vale quanto detto per il figlio Dwyane: aveva già conosciuto l’inferno, prima. E che inferno. “Ero una persona disgustosa anche a me stessa”, le parole che usa per descriversi. Alcool. Droga. Il primo arresto nel 1992. Cinque mesi dentro. Poi altri due arresti. E ancora 23 mesi dietro le sbarre. Nel 1997, fuori per un permesso, decide di non ritornare in carcere e diventa una fuggitiva, a tutti gli effetti. Per quasi cinque anni. Fino al 14 ottobre 2001. Fino a un mattinata trascorsa in chiesa.

Ora sappi questo: gli ultimi giorni saranno molto difficili, perché gli uomini saranno egoisti, presi dal denaro, vanitosi, arroganti, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza rispetto per ciò che è sacro, senza sentimenti, sleali, calunniatori. Saranno incapaci di autocontrollarsi, crudeli e nemici del bene. Tradiranno i propri amici; saranno insensati, pieni d’orgoglio; preferiranno i piaceri della vita a Dio; conserveranno l’apparenza esterna della fede, ma ne rigetteranno la potenza .

Sono questi versetti biblici che cambiano la sua vita. Decide di smettere di bere e di drogarsi. E decide di tornare in cella. Volontariamente. Per quei 14 mesi che la rendono nuovamente libera, per sempre, in tempo per vedere il figlio iniziare la corsa verso il successo. Il titolo della Conference USA. Le Final Four NCAA. La quinta scelta assoluta al Draft 2003. E poi il titolo di campione NBA, in quel 20 giugno 2006. Il primo. Forse non l’ultimo. Perché oggi Dwyane – con i suoi nuovi “amici” LeBron e Chris – punta ancora al paradiso, quello NBA, mentre mamma Jolinda – ordinata pastore nel 2007 – punta dritto al Paradiso, quello vero.

Editoriale rivista NBA, giugno 2011 di Mauro Bevacqua

Friday, May 20, 2011

Una transizione gloriosa

Nella pallacanestro moderna il termine transizione indica il passaggio veloce dalla fase difensiva a quella offensiva, nel calcio si parla di contropiede, allo scopo di arrivare quanto prima a realizzare il canestro . Con una analogia suggestiva possiamo applicare questa parola anche al periodo che intercorre tra la Resurrezione di Gesù e la sua Ascensione al Cielo. E’ Romano Guardini a parlarcene nel capitolo “Tra tempo ed eternità” del suo libro “Il Signore”.

“I pochi giorni in cui egli fu impegnato nella transizione dal tempo all'eternità, ci dicono che egli è il medesimo qui e là. Che il Gesù di Nazaret, quando «entrò nella sua gloria» (Lc 24, 26) ha portato con sé tutta la sua esistenza terrena ed essa vive in eterno nell'essere di colui «che è l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine» (Ap 1, 8).

Questi giorni si collocano tra tempo ed eternità. Il Signore è ancora sulla terra, ma già ne stacca i piedi, per andarsene. Al di là di lui si aprono già gli spazi dell'eterna luce, ma egli è ancora nel regno della caducità. Nel Nuovo Testamento risaltano due modalità in cui appare la figura di Gesù: secondo l'una, egli è Gesù, «il figlio del carpentiere» (Mt 13, 55). Qui egli si pone nello svolgersi di avvenimenti terreni; lavora, lotta, subisce un destino. Ha il suo essere personale; certo misterioso e trascendente ogni spiegazione, ma tale tuttavia che talvolta crediamo di sentire la tonalità della sua voce e di vedere i suoi gesti. Soprattutto sono i Vangeli a delineare la sua immagine in questo modo. L'altra maniera d'apparire, per contro, si presenta nella forma dell'eternità. Qui i limiti della realtà terrena sono caduti. Egli è libero, divinamente libero, Signore e Dominatore. L'accidentale e il caduco non vi sono più; tutto ha carattere essenziale. Il «Gesù di Nazaret» si è im¬messo entro il «Signore Cristo», che vive eternamente e la cui immagine è stata disegnata da Giovanni, quando lo contemplava a Patmos:


«.. Io mi voltai per vedere la voce che mi parlava; e quando mi voltai, vidi sette candelabri d'oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un figlio di uomo, con una veste lunga fino ai piedi e cinto di una fascia d'oro al petto; la sua testa e i suoi capelli erano bianchi, quale lana candida, come neve, e i suoi occhi come fiamma di fuoco e i suoi piedi simili all'elettro reso incandescente nel crogiuolo, e la sua voce era come una voce di molte acque, e nella sua mano destra teneva sette stelle, e dalla sua bocca usciva una spada a doppio taglio e il suo volto era come il sole quando splende nella sua potenza. E quando io lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto ed egli pose su di me la sua destra e disse: "Non temere; io sono il Primo e l'Ultimo, e il Vivente ed ero morto ed ecco, sono vivo per i secoli dei secoli e ho le chiavi della morte e degli inferi"» (Ap 1, 11-18).

Anche Paolo ha disegnato il quadro nella Lettera ai Colossesi, quando all'inizio parla di colui che è

«l'immagine del Dio invisibile, il primogenito della creazione intera: in lui infatti sono create tutte le cose che vi sono in cielo e in terra, il visibile e l'invisibile, Troni e Dominazioni, Principati e Potenze: tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui, ed egli è il primo di tutte le cose, e tutte hanno in lui consistenza. Egli è anche il capo del corpo che è la Chiesa. E lui il principio, il primogenito [di quanti risorgono] dai morti, affinché sia il primo fra tutti. Poiché è piaciuto a Dio che abiti in lui ogni pienezza, e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, pacificando con il sangue della sua croce sia le cose che sono sulla terra, sia quelle che sono nei cieli» (Col 1, 15-20).

In questa immagine tutti i particolari sono caduti. Nessuno dei suoi tratti ci parla con familiarità terrena. Tutto è estraneo e di grandezza soverchiante. È questo lo stesso Gesù che passava sulla terra? I giorni di cui parliamo ci danno risposta. I pochi giorni in cui egli fu impegnato nella transizione dal tempo all'eternità, ci dicono che egli è il medesimo qui e là. Che il Gesù di Nazaret, quando «entrò nella sua gloria» (Lc 24, 26) ha portato con sé tutta la sua esistenza terrena ed essa vive in eterno nell'essere di colui «che è 1'A e 1'S2, il Principio e la Fine» (Ap 1, 8).

ROMANO GUARDINI,  Il Signore, pagg. 549-550