Il soffio di vita che pervade tutto
il messaggio cristiano impedisce che ci fermiamo davanti ai sepolcri come
davanti a un trionfo della morte, o che li scambiamo per ammonimento ai vivi.
Per ogni credente si rinnova la domanda degli angeli alle pie donne: “Perché
cercate tra i morti colui che e vivo?” (Lc 24, 5). Parlare con i morti come si
fa con i viventi non e l’illusione di chi tenta di captare voci nell’etere,
inutile e irrispettosa impresa di quanti vacillano nella vera fede; e la
normale conseguenza di questa continuità
della vita nella Vita. “In Cristo
viviamo”, afferma ripetutamente l'Apostolo, e in Cristo anche parliamo con gli
altri. Il colloquio del cristiano con i defunti non e l’illusoria consolazione
foscoliana che il sopravvissuto procura a sé stesso: e la potente comunicazione
in Christo Iesu di affetti, pensieri, promesse. Infatti io
prego il fratello passato a vita duratura, nella fede della Chiesa, che mi da
assicurazioni della santità delle anime purganti e mi insegna altresì che ho
mezzi per suffragarle, per aiutarle nel loro stato di purificazione. Questo
rapporto di amorosa corrispondenza e un bene assai grande che non ci è permesso
di smarrire nel turbine degli interessi terreni.
Come c’é un dovere di fedeltà verso i
consanguinei, gli amici, i benefattori che tuttora vediamo e con i quali
viviamo, esiste lo stesso obbligo verso coloro che sono scomparsi dalla scena
di questo mondo. La pietas e più che
un sentimento; è una virtù e un dono che ci fa compiere atti meritori. La pieta
verso i defunti ha un carattere gratuito, che nessun materialismo e in grado di
spiegare; pregare per quanti non hanno alcuna possibilità fisica di dirci un
"grazie" e una delle forme di amicizia più pure che esistano, e
d’altra parte noi cristiani siamo in una costante corrente di simpatia con gli
spiriti di ogni tempo. La piu caratteristica espressione di questo "salire
e scendere" di preghiere e di grazie, come scala di Giacobbe di inesausta
ricchezza, e rappresentata dal culto dei santi. Non a caso la Chiesa fa precedere
il 2 novembre dalla festa di tutti i santi: i quali, amici di Dio, sono i più autorevoli
intercessori presso di Lui. Non e soltanto l'uomo colto che avverte affinità e
consonanze con quelli che l’hanno preceduto nelle lotte per la vita dello
spirito; e anche l’uomo della strada a intuire nel santo patrono, nel modello
popolare, un suo portavoce, un interprete della sua coscienza e un amico per i
suoi bisogni. Chi ride di questo scambio apparentemente superstizioso fra i
santi e i devoti non ha possibilità di
capire molti segreti dell’animo umano, ed è ancora analfabeta nella lettura di
sentimenti che non hanno compensi immediati: l’amore della madre, l’assistenza
allo sconosciuto, la silenziosa abnegazione per il bene altrui, l'elemosina
nascosta... Non e vero che l’offerta votiva sia il residuo della paura pagana
per il nume vendicativo. Molti sono i casi dei fedeli che offrono anche senza
ricevere, come sono moltissimi i malati che tornano da Lourdes con l’animo
lieto, anche senza aver ottenuto la guarigione.
Mentre si affollano le chiese nei
giorni dei morti e si accendono lumini e candele, veniamo presi come da un
vortice in cui presenze invisibili si alternano a visibilissime fiamme di
palmare sensualità. La civiltà dei
consumi, che ha falsamente introdotto surrogati di sacramenti con i matrimoni civili,
con le feste della mamma e con i minuti di silenzio, si trova nella necessita
di manifestare in qualche modo con riti o con segni a doppia faccia i il suo
credo nella sopravvivenza.
Il "non omnis moriar" (“Non
tutto io morrò”) del poeta latino non va affidato a un semplice monumento
poetico: è l’aspirazione insopprimibile
alla vita che non muore, che non può morire, perché in ogni mio gesto, in ogni parola,
in ogni programma c’è un’impronta
inequivocabile di perpetuità.
Dal libro : LUIGI TIRELLI, La Fede dei figli di Dio. pp.54-57, ed.ARES
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