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Friday, February 25, 2011

MARSHALL MCLUHAN: La Fede è un senso in più

La Fede è un sesto senso, è una dimensione in più (la terza), è un istinto soprannaturale. A queste conclusioni era giunto un grande protagonista della Comunicazione moderna: MARSHALL MCLUHAN . Nel libro in cui si racconta la sua conversione al cattolicesimo ci sono delle affermazioni sorprendenti che spiegano, meglio di qualsiasi grande teologo, cos’è la Fede.


Per un cattolico la fede non è un semplice atto della mente, ovvero un fat­to della ideologia o del pensiero (concetto) o del credere o della fiducia - sebbene essa venga spesso confusa con queste cose. La fede è un tipo di perce­zione, un senso come la vista, l'udito o il tatto ed è tanto reale e concreta quan­to quei sensi, seppure in un'ottica più spirituale che fisica  (i Protestanti, se­condo la sua ricerca, avevano deciso di concepire la fede in termini di idee e di concetti. Tale decisione significava che essi, tornando ai termini del trivio, ave­vano sposato la tesi della dialettica e abbandonato la vecchia alleanza di reto­rica e grammatica, alla quale la Chiesa aderiva ancora risolutamente). A noi cattolici è stato insegnato che la fede è un dono dello Spirito Santo che si rag­giunge attraverso la preghiera. Come via della conoscenza la fede agisce nel re­gno dei precetti, non in quello dei concetti. È una modalità di conoscenza e consapevolezza spirituale, tanto acuta e reale quanto la vista, il tatto, l'olfatto o l'udito. Nessun senso fisico richiede ripetuti esami e continue domande: se sei in grado di ascoltare o vedere, va bene così: non devi continuare a chieder­ti "Posso vedere? Posso udire'?". Sai già se puoi  o non puoi udire e questo non ha nulla a che vedere con la teoria o con i concetti.
           MARSHALL MCLUHAN , La luce e il mezzo,pag.16 . ARMANDO EDITORE 2002.

C’è una consonanza con ciò che affermava san Josemaria Escrivà in Cammino e con le considerazioni tratte dal libro dell’attuale prelato dell’Opus Dei :


"La gente ha una visione piatta, attaccata alla terra, a due dimensioni. —Quando vivrai la vita soprannaturale otterrai da Dio la terza dimensione: l'altezza e, con essa, il rilievo, il peso e il volume" (Cammino 279)


Grazie al sacrificio dell’altare nel cuore si rafforza il senso della filiazione divina, che si trasforma in un vero e proprio istinto soprannaturale, capace di innalzare al cielo tutto il nostro agire e di vivificarlo  (J. ECHEVARRIA, Vivere la santa Messa. pag. 165)

Wednesday, February 23, 2011

Giandomenico Tiepolo :un pittore dentro la storia

Con Giandomenico figlio ventenne del più celebre padre Gianbattista si nota “l’affiorare di una sensibilità diversa, avvertibile innanzitutto nel modo di strutturare spazialmente la composizione. È uno spazio traballante, sconnesso, che si disarticola, sulla trama delle quattordici stazioni [della Via Crucis], in una sequenza di momenti successivi; l'insieme assume quasi un carattere di reportage, di cronaca che registra i fatti in coincidenza col loro svolgersi»(Adriano Mariuz,) . E in effetti è proprio la volontà di narrare i fatti, di mettere in scena la realtà, a costituire la sostanziale differenza tra l'arte del figlio e quella del padre, «vero mago della pittura», come ebbe a definirlo un contemporaneo, per la sua sublime capacità di raccontare le vicende di un mondo fiabesco, quello degli dei e degli eroi. Viceversa Giandomenico è un pittore legato alla realtà, capace, sopratutto quando dipinge opere di soggetto religioso, di una partecipazione morale assolutamente antitetica. Verrebbe quasi da dire, portando il discorso alle sue estreme conseguenze, che dal campo della pura estetica si passa a quello dell'etica. Per Giambattista il soggetto delle opere è importante, ma in ogni caso strumentale all'esibizione di una linguistica: l’historia, cioè, diviene un'occasione per far emergere l’eccellenza della propria pittura; per Giandomenico, invece, argomenti e mezzi d'espressione si identificano e, nel caso delle tele di San Polo, di fronte alle tragiche vicende dell'andata di Cristo al Calvario o al martirio e alla predicazione dei santi la materia e il tocco pitto¬rico si fanno intensamente drammatici. Questo spiega, evidentemente, lo scarso successo incontrato dalle opere prime di Giandomenico alla loro esposizione al pubblico: i contemporanei avrebbero probabilmente preferito che il giovane pittore avesse imitato più fedelmente i modi paterni, che avesse intinto il proprio pennello nella retorica sfavillante di Giambattista; ma questo - lo scrive lo stesso Visconti - non era nel « caratro» del giovane pittore. (da: Filippo Pedrocco, Giandomenico Tiepolo nella chiesa di san Polo. pagg. 7-8. ed. MARSILIO)

Saturday, February 05, 2011

Ricordati di me !

In questo ultimo libro, Javier Echevarria prelato dell’Opus Dei invita i cristiani a innestare la santa messa nella vita di ogni giorno, rispondendo all’invito di Gesù a non dimenticarsi di Lui :“fate questo in memoria di me”. In ogni pagina del libro si coglie la ricchezza e la profondità vissuta da san Josemaria Escrivà nel celebrare e nel vivere la santa Messa. Questo grande amore per Gesù, presente nel sacrificio dell’altare e nell’Eucarestia, che ha saputo trasmettere a migliaia e migliaia di persone. Parlando della consacrazione dice:


 E’ talmente grande quello che è appena accaduto , talmente ricco di contenuto, che la Chiesa ha bisogno di meditarlo e di esporlo nelle preghiere che seguono, per ringraziare in profondità e ricordare - unde et memores – gli straordinari benefici ricevuti. Sicuramente ci vengono in mente vari passi dell'Antico Testamento dove si cantano e si descrivono le meraviglie della misericordia divina operate nella storia della salvezza grazie all'intervento di Dio attraverso i suoi inviati. Poi, ogni volta che Israele celebrava la Pasqua, gli eventi dell'Esodo erano rivissuti come se stessero accadendo proprio in quei momenti. Non si trattava della semplice memoria di un fatto relegato nel passato: la celebrazione in qualche modo riportava quei prodigi nel presente. A maggior ragione e con piena realtà si compie l'attualizzazione del sacrificio della Nuova Alleanza. «Quando la Chiesa celebra l'Eucaristia, fa memoria della Pasqua di Cristo, e questa diviene presente: il sacrificio che Cristo ha offerto una volta per tutte sulla croce rimane sempre attuale»"(1).
Per questo, sintonizziamo la nostra esistenza con le finalità del Sacrificio eucaristico, nella certezza che, per i meriti infiniti di Gesù, la nostra adorazione, la nostra impetrazione, la nostra espiazione e il nostro rendimento di grazie salgono al cielo e sono accolti da Dio Padre. Così saremo in grado di imprimere queste caratteristiche alle diverse azioni della giornata, perché in Cristo persino la più pic¬cola frazione di tempo, di sforzo, di lavoro, di mortificazione, acquisisce un significato trascendente ed eterno, pieno di efficacia apostolica sulla terra. Il papa san Leone Magno insegnava che, dopo l'Ascensione, «quel che era visibile nel nostro Redentore, è passato nei riti sacri»(2).
Con la precisa indicazione , fate questo ìn memoria dì me, il Signore dava agli Apostoli l'incarico e la capacità di ripetere efficacemente le sue parole e i suoi gesti. Proprio con questo «in memoria di me» sembra dir loro: non di-menticatevi di me! Abbiate sempre presente quello che ho portato a termine per voi! Per questo, la Chiesa eleva al cielo la preghiera che la liturgia chiama anamnesi, ovvero il memoriale dell'opera della redenzione compiuta e resa attuale in modo sacramentale mediante la consacrazione. «Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la no¬stra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell'attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo»(3).
  Il fatto di ricordare al cospetto del Padre le meraviglie della redenzione risponde, oltretutto, a un'esigenza legata al nostro modo di essere: noi spesso dimentichiamo. In ogni Messa, la Chiesa ricorda queste grandi opere di Dio, affinché le assaporiamo con costanza ringraziando come si deve. Così, le prove dell'amore di Gesù per noi si incideranno nel profondo della nostra anima. A forza di considerarle una volta e un'altra, finiremo per diventare persone riconoscenti e penitenti.
La nostra vita, la nostra giornata intera, acquisirà la fragranza di un'«ostìa pura, santa e immacolata»"(4).

1)Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1364.
 2) San Leone Magno, Omilia LXXIU, 2, L'Ascensione (PL 54, 398), in: Idem, Omilie, Lettere, cit., p. 413.
 3)Messale Romano, Preghiera eucaristica III.
4) Cfr Messale Romano, Preghiera eucaristica 1.


Friday, January 14, 2011

La “notte oscura” del Battista (1)


La domenica dopo l'Epifana, la Chiesa festeggia il Battesimo di Gesù.
Nel suo libro "Il Mistero dell'Avvento" il  teologo francese Jean Danielou (*)mette in luce l’estrema prova a cui fu sottoposto il Battista, dopo la straordinaria esperienza del Battesimo di Gesù. Precedette Cristo non solo nella predicazione penitenziale ma anche nella sua passione e nell’abbandono estremo

“ Giovanni Battista è lo strumento dal quale il Cristo viene rivelato, per la prima volta, nella sua realtà di Figlio di Dio. Introdotto da Dio nel segreto del mistero trinitario, in lui questo mistero si manifesta all'inizio della vita pubblica di Gesù, per mezzo suo è instaurato il ministero di Gesù; egli lo precede, facendosi suo araldo al cominciare della sua vita pubblica. Così Giovanni fu da Dio preparato e introdotto nei suoi segreti, separato dalle cose del mondo. Quindi fu lo strumento che predispose le anime alla venuta del Cristo. Più tardi ancora - e questo mette qualche cosa di impareggiabilmente commovente e misterioso nella sua vita - egli, dopo aver finito di servire, s'inabissa nell'oscurità. È messo da parte, scompare, si cancella! Venuto il Cristo, non ha più che da andarsene. «Bisogna che lui cresca ed io diminuisca ». Il termine della sua vita appare dunque come uno squallore desolato, uno spogliamento, uno stato di derelizione totale.

Dopo aver partecipato al mistero della predicazione del Cristo, partecipa allora al mistero della Sua Passione (2). A proposito di Giovanna d'Arco, Péguy notò come fu una perfetta immagine del Cristo, per il fatto che dopo aver combattuto come Lui, come Lui chiude la vita nell'insuccesso, nell'oblio, nel ripudio, nell'abbandono, nella desolazione. Così hanno desiderato finire, dopo aver servito, molti Santi.

Questo in Giovanni Battista avviene davvero in modo inesplicabile, sconcertante. Anzitutto lo abbandonano i discepoli a lui più vicini. I suoi discepoli non gli badano più. Gesù è là: Giovanni Battista non è più nulla. Giovanni Battista, già grande profeta, al quale le folle accorrevano sulle rive del Giordano, non ha più nessun seguace. Tutti i suoi discepoli hanno raggiunto Gesù, giacché era proprio Gesù che bisognava raggiungere. Giovanni accetta di essere abbandonato così dagli uomini: contempla da lontano i suoi discepoli che sono con Gesù. Non ha neppure la gioia di essere tra loro, di far vita comune con loro e Gesù. Neppure questo! Questa gioia la lascia ad altri. Ha compiuto la sua missione. Essa è finita. E lui vive ormai nascosto.

Non soltanto lo abbandonano gli altri, ma, di più, sembra abbandonarlo Dio stesso, un po' come Nostro Signore sulla Croce. Questo lato della sua vita al tramonto va posto tra i più misteriosi. Nella misteriosa scena evangelica dove egli invia a Gesù i suoi discepoli per chiedergli se veramente è Colui che deve venire, Giovanni sembra come oppresso da una certa oscurità, forse la suprema purificazione con la quale Dio lo prepara a unirglisi maggiormente. In questa oscurità egli, umanamente, non vede più chiaro; non fa altro che perseverare in una vita tutta pura e tutta spoglia, conoscendo ormai quelle grandi prove della fede, attraverso cui Dio ha fatto sempre passare i suoi migliori amici affinché la loro fede fosse veramente provata (3).

Alla fine sperimenta anche la massima dimostrazione dell'amore, la prigionia e la morte per aver reso, sino all'ultimo, testimonianza alla Verità. È imprigionato, decapitato, abbandonato, dimenticato: darà la sua vita stessa. Ha qualche cosa di incomprensibile il breve spazio di tempo durante il quale egli è il grande profeta annunziatore della voce di Dio, posto com'è tra due abissi di oscurità, l'oscurità del deserto in principio e l'oscurità della prigione al termine. Qui appare conseguentemente in tutta la pienezza la caratteristica essenziale di lui, il suo essere soltanto la voce di colui che grida nel deserto. Tutta la sua vita converge in quel breve spazio, nel momento cioè in cui egli è la voce che indica Gesù. Tutto il rimanente viene vissuto nell'oscurità e nell'attesa."
 Jean Danielou, Il Mistero dell'Avvento. ed. MORCELLIANA  (pagg.84-86)

[2] Cfr. L. ZANDER, Le Précurseur selon le P. Boulghakov, « Dieu vivant ", VII, 107 segg.
[3] Cfr. A. DURAND, Evangile selon St. Matthieu (Verbum Salutis), pagg. 301-304.

*Daniélou, Jean  - Teologo francese gesuita (Neuilly-sur-Seine 1905 - Parigi 1974), è stato, attorno agli anni Cinquanta del Novecento, tra i maggiori esponenti del rinnovamento teologico.. Prof. all'Institut Catholique di Parigi, cardinale nel 1969, nel 1972 fu eletto all'Académie française. Socio straniero dei Lincei (1972). I suoi studî, soprattutto sulla tipologia biblica, le origini del cristianesimo e la patristica greca, tendono all'elaborazione di una teologia della storia che, approfondendo l'idea cattolica di tradizione, dia senso allo sviluppo dogmatico.










Friday, December 03, 2010

Confessione e Amore misericordioso


Accogliere con gratitudine l’amore misericordioso

Proprio chi ha la fortuna di confessarsi frequentemente ha bisogno di prepararsi adeguatamente; certamente con un esame di coscienza ben fatto ma, sopratutto, considerando il grande amore del Signore che, non si accontenta di perdonarci ma desidera purificarci sempre più per unirci  intimamente a lui. Sono queste le preziose considerazioni che Albert Vanhoye ci porge nel suo libro “Pietro e Paolo” che raccoglie una raccolta di meditazioni date negli esercizi spirituali biblici da lui predicati.

“Abbiamo visto che, dopo l'adesione di fede alla persona di Cristo, l'atteggiamento più importante nella vita spirituale è quello dell'amore riconoscente. Ce lo insegnano san Pietro e san Paolo. Accogliere con gratitudine, in ogni circostanza, i doni di Dio, la grazia di Dio, il suo amore generoso. Siamo chiamati, in special modo, ad accogliere un'espressione particolarmente profonda e commovente dell'amore del Signore, cioè il suo amore misericordioso, che ci offre la grazia della purificazione. Prepariamoci a questa grazia e in questa prospettiva. Più importante dell'esame di coscienza per cercare le colpe commesse, è l'attenzione da dare all'amore misericordioso del Signore, all'intenzione del Signore quando offre la grazia della purificazione, per avere i sentimenti rispondenti di amore riconoscente. Come è bello, e commovente, pensare che il Signore ci vuole purificare unicamente perché ci vuole bene: non c'è altra ragione. La purificazione ha come causa l'amore del Signore, e come scopo un'unione più stretta nell'amore con il Signore. L'unione con il Signore non è possibile senza purezza perfetta della coscienza. La grazia della purificazione è dunque una manifestazione di singolare generosità e delicatezza dell'amore del Signore, che suscita una gratitudine profonda. ........Il progetto di amore di Dio è questo: che diventiamo « santi e immacolati al suo cospetto nell'amore». San Paolo spiega un po' di più questo aspetto in Ef 5, quando parla dell'amore di Cristo per la Chiesa: « Cristo ha amato la Chiesa, e ha dato se stesso per lei, per renderla santa purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola - un accenno al battesimo -, al fine di farsi comparire da-vanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5,25 -27). Possiamo applicare a noi questa espressione dell'amore di Cristo per la Chiesa, possiamo dire ciò che Paolo diceva: « Cristo, il Figlio di Dio, mi amò e diede se stesso per me » (Gal 2,20). Similmente possiamo dire: «Cristo vuole rendere la mia anima santa purificandola con i sacramenti, al fine di farla comparire davanti a lui tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata». Questo è il progetto di amore di Gesù Cristo, è veramente il progetto di un innamorato: farsi comparire davanti la sua amata tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Il sacramento della misericordia deve essere inteso in questa prospettiva: se lo si intende così, allora c'è veramente il desiderio spontaneo di ricevere questo sacramento, espressione di un amore così profondo e così delicato. L'anima accetta di essere purificata, per diventare tutta gloriosa, senza macchia né ruga, ma santa e immacolata...........
Albert Vanhoye, Pietro e Paolo, pp. 85-90  ed. Paoline

Immacolata

Clemente Rebora è un poeta italiano poco conosciuto. Dopo la conversione,negli anni 30 del secolo scorso, scrisse alcune poesie religiose di grande spessore umano e spirituale. Cominciamo con una dedicata all'Immacolata.
        







   L'Amante Padre aveva in suo consiglio  
   la Tuttabella a modellar le cose   
   secondo l'Esemplare di suo Figlio :   
   del gioire di lei Egli gioiva    
   mentre ponendo i cardini del mondo  
    il ciel voltava sull'informe abisso.
   Così il creato, ov'è più meraviglia,
    sorse per lei, e stelle e rose, e i cuori
    presero in lei a palpitar di Dio
    quando da lei il Sol che tutto avviva
    sorse in luce d'amor per ogni nato,
     onde con lei nei secoli i portenti
    di carità degli infuocati eroi
     fan lieto il Regno e sorgono i viventi,
     per ben risorger dopo la vigilia
     dei tempi a quella festa che già piglia
     sembianza dall'Assunta tuttasanta.
       
       E tu, la Pura, il Creatore esprimi
       ond'ogni creatura a Lui somigli;
       sul tenebroso mal, risorto Cristo,
       a nuova terra, e a nuovo cielo, eterni,
       che qui prepara ognun se ha buona fede,
       la creazion geme tutta intera,
       e geme in chi nel parto della Madre
       da quel Sangue è figliato che a Lui diede.
O creazion, che ansiosa aneli,
non più al peccato ma servir d'ascesa
marianamente per Gesù al Padre:
perché, finito il tempo, giunga l'ora
- assorbita in vittoria e guerra e morte –
allor che il Padre ogni lagrima asciughi:
e sia, ecco, tutto in tutti il nostro Dio.


                    II


Ignare a quella sete che per noi
patì là in Croce Cristo benedetto
onde sgorga la Fonte da Maria
che quanti appaga infin li imparadisa,
urlan le genti, dopo aver mangiato
terra per cibo: - bruciamo di sete! -
e come pazze si scontran cercando
sorsi a ristoro, e le sorgive tutte
di loro stragi sfociano inquinate.
Tu unica sorgente, o Immacolata,
donde fluisce acqua di vita al Cielo
che per l'amore in vino e vino in Sangue
a Cana è pregustata e sul Calvario
versata al mondo dal Cuore Divino !

                  III

Beati son gli immacolati in via,
in tua custodia docili, Maria !
Nel labirinto dei giorni tu sei
certezza di speranza in ogni inciampo,
filo d'Arianna a quanti van sperduti
e il mostro è vinto, il Tesoro è trovato;
tesoro ai cuori, nascosto nel campo.
Dal mareggiar del mondo più diviso
vedo le folle accorrere alla Grotta
tua, Vergin Regina della Storia,
dove è fiumana il flusso della grazia
a quanti il mal in mente o in corpo strazia,
per raddrizzar la rotta al Paradiso.
Per te, com'Eva si risolve in Ave,
in Amor Roma suo mister rivela,
dov'è materna Chiesa che dà pace.
Rigenerati, a noi per te vien detto:
Prendi questo vestito di candore,
immacolato portalo al Signore,
onde avere con Lui eterna vita.
           O vita di Gesù, e vera e nuova,

          canto di chi la serba,
           schianto di chi la perda,
           gaudio se si ritrova!
           A noi chiamati in te promesso è il giorno:
         Prendi l'amor, questa lampada accesa;   
          splenda il tuo segno, che avvenga il suo Regno:
          onde, giungendo lo Sposo alle Nozze,
          tutto palese senza nascondiglio
          incontro possa corrergli con luce
          che Sua bellezza svelata riveli
           e insieme ai santi fratelli felici
          dentro la sala regale dei cieli
          vivere amante senza fine in festa
          gloriando al Padre per la Madre il Figlio.

12 novembre 1955
                                                                          

Monday, November 29, 2010

28 novembre 1982


Con la Costituzione Apostolica “Ut sit”  Giovanni Paolo II erige l’Opus Dei in Prelatura Personale. È il 28 novembre 1982.
ecco l'inizio della bolla pontificia:
GIOVANNI PAOLO VESCOVO  SERVO DEI SERVI DI DIO A PERPETUA MEMORIA
Con grandissima speranza, la Chiesa rivolge le sue materne premure e le sue attenzioni verso l’Opus Dei, che per divina ispirazione il Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer fondò a Madrid il 2 ottobre 1928, affinché esso sia sempre un valido ed efficace strumento della missione salvifica che la Chiesa adempie per la vita del mondo.
Fin dai suoi inizi, infatti, questa Istituzione si è impegnata, non solo a illuminare di nuova luce la missione dei laici nella Chiesa e nella società umana, ma anche a realizzarla nella pratica; come pure si è impegnata a tradurre in realtà vissuta la dottrina della chiamata universale alla santità, e a promuovere in ogni ceto sociale la santificazione del lavoro professionale ed attraverso il lavoro professionale. Inoltre, per mezzo della Società Sacerdotale della Santa Croce, si è adoperata per aiutare i sacerdoti diocesani a vivere la medesima dottrina, nell’esercizio del loro sacro ministero.


Qualche giorno fà, Benedetto XVI ha fatto pubblicare l'esortazione apostolica "Verbum Domini" che tratta
 della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. "Riaffermando il profondo legame tra lo Spirito Santo e la Parola di Dio, abbiamo anche posto le basi per comprendere il senso ed il valore decisivo della viva Tradizione e delle sacre Scritture nella Chiesa. Infatti, poiché Dio «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16), la Parola divina, pronunciata nel tempo, si è donata e «consegnata» alla Chiesa in modo definitivo, cosicché l’annuncio della salvezza possa essere comunicato efficacemente in tutti i tempi e in tutti i luoghi. ....La viva Tradizione è essenziale affinché la Chiesa possa crescere nel tempo nella comprensione della verità rivelata nelle Scritture; infatti, «è questa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa l’intero canone dei libri sacri e nella Chiesa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse sacre Scritture».[58] In definitiva, è la viva Tradizione della Chiesa a farci comprendere in modo adeguato la sacra Scrittura come Parola di Dio. Sebbene il Verbo di Dio preceda ed ecceda la sacra Scrittura, tuttavia, in quanto ispirata da Dio, essa contiene la Parola divina (cfr 2Tm 3,16) «in modo del tutto singolare».[59]

E proprio dalle conclusioni ispirate dalla meditazione di quelle parole della Genesi, che definivano la vocazione dell'uomo nella creazione (Tulit ergo Dominus Deus hominem et posuit eum in paradiso Eden, ut operaretur et custodiret illum (Genesi, 2,15) il giovane Josemaria Escrivà ricevette l'ispirazione divina sulla fondazione e missione dell'Opus Dei nella Chiesa e nel mondo.