Al termine dell’articolo sono riportate alcune frasi dello stesso Robinson tratte dal sito “Atleti di Cristo”
“David Robinson è uno di quei giocatori che non si possono misurare né col metro né con i numeri. Lui è quello che gli americani chiamano "franchise player", il giocatore-franchigia: una roccia, la vera fondamenta della società e della squadra, il giocatore sempre leale ai suoi colori che non causa mai un problema. Anzi, li risolve.
Insomma, lui per gli Spurs è stato il cittadino perfetto, il leader della squadra, la faccia della società nonostante San Antonio non sia certo il mercato più importante della NBA. Uno come David Robinson non ha mai chiesto di andare a giocare a Washington, a due passi da Annapolis, per fare un esempio. Anzi, ancora oggi vive a San Antonio.
La cosa che mi ha maggiormente impressionato di David Robinson è stata la sua grande duttilità. Quando è arrivato Duncan, la gente (giustamente) si è chiesta: "Finiranno per pestarsi i piedi? Chi gioca centro e chi gioca ala? Vorranno entrambi giocare in post basso?". Mille domande, altrettanti dubbi. Invece, grazie anche al talento di Duncan (altra super persona), zero problemi. Se Duncan giocava in post alto, Robinson giocava in pivot basso; se Duncan andava in pivot basso, Robinson saliva in post alto senza problemi, senza perdere nulla. Anzi, era un ottimo passatore "alto¬basso" per Duncan sotto canestro.
Non mi ricordo chi, ma un grande coach ha detto: "Non si vince solo con il talento, si vince con la gente". Vuol dire che l'abilità è importante ma una persona positiva è ancora più fondamentale. Quando allenavo la Virtus Bologna, dal 1973 al 1978, il nostro boss, l'Avv. Gianluigi Porelli, una volta mi disse: "C'è una bella differenza fra il grande giocatore e il campione". L'ho sempre trovata una frase importante, educativa. Vuol dire che il talento è una cosa.. ma che il campione è quello che usa quel talento per vincere per la squadra.... David Robinson era quel raro elemento: il grandissimo giocatore che era anche un grande campione.
E quando si parla di ottime persone, San Antonio in questo è geniale: David Robinson, Manu Ginobili, Tim Duncan, Tony Parker. Scelgono giocatori disponibili per la squadra. Chiaro, poi riaccolgono anche uno come Stephen Jackson, ma a fine carriera, più maturo, voglioso di vincere, affamato per un altro titolo. E questa tradizione è iniziata con David Robinson. È stato lui a dire (senza dover aprire bocca!): "Qui ci si comporta in questa maniera; qui l'egoismo non ha posto; qui siamo venuti per vincere; qui il compagno viene davanti agli obiettivi personali; qui siamo fratelli e non cugini". Per questo, oggi, il suo nome è nella Top 50 di ogni tempo della NBA e, come detto, nella Hall of Fame.
Chiedo scusa, quindi, se non mi sono soffermato a lungo sul gancio mancino del n°50 nero-argento, sul suo timing per la stoppata, sulla capacità di dare l'assist o di andare a rimbalzo con cattiveria. Basta andare in rete e si viene travolti dai numeri e dai record di Robinson. Come ex-allenatore, ci tengo molto a esprimere il mio parere sull'uomo, sul leader, sull'esempio, sul cittadino e posso confermare il ruolo della USNA in tutto questo. Perché è molto più di un'università: è un'istituzione che assegna lauree, sì, ma che insegna anche dei principi e un senso dei valori che non si comprano al supermercato. David Robinson è un prodotto di quella scuola. Anzi, il più emblematico di tutti, il Numero Uno. (pag. 64)
-Ogni volta che metto i piedi in campo – spiega Robinson – penso a glorificare Dio. Io voglio essere sicuro che la gente non pensi che io sono grande, ma quanto in realtà lo sia Dio. Voglio che le persone capiscano come tra me e loro non ci sia nessuna differenza. Solo per la grazia di Dio sono cresciuto fino a diventare alto 2,13 metri. Tuttavia, la cosa più meravigliosa nella mia vita non è l’essere alto 213 cm, giocare a basket o avere tanti soldi. La mattina mi sveglio e quasi mi viene da piangere se solo penso che Dio è così buono con me: mi ha dato tre bambini fantastici e una moglie meravigliosa. Egli è Colui che dona ogni bene alla mia vita”.
“Il canestro fatto da uno che conosce Dio potrebbe servire ad amare le persone, a incoraggiare la gente, a mostrare l’amore e la luce di Cristo nelle loro vite. Parlare di Gesù alle persone è importante, ma non serve a nulla senza dare un buon esempio. Io voglio che i fan vedano e conoscano Gesù. Io voglio che i miei compagni di squadra vedano e conoscano Gesù. Alle Olimpiadi, sono rimasto meravigliato di quanti tipi di persone Dio abbia creato. Sono stato felice di aver potuto vedere culture differenti”.
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