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Tuesday, July 17, 2012

Dalla persona all’individuo: Pico della Mirandola.

Alle origini delle ideologie del costruttivismo e della teoria del genere


La separazione tra Chiesa e Stato si fonda sulla separazione tra il potere religioso e il potere politico (nel senso di potere di governare) e non sul convincimento che vi siano due sistemi di pensiero contrapposti e contraddittori per poter concepire il bene comune. Le regole della politica sarebbero così estranee non solo alle esigenze antropologiche obiettive ma, di conseguenza, anche alle regole morali. La creazione della legge civile così come la pratica politica rivelano sempre una concezione dell'uomo che è coerente o in contraddizione con i principi della ragione. La legge civile non è al di sopra dei punti di riferimento della morale. La dottrina sociale della Chiesa ha sempre voluto differenziare il potere politico da quello religioso. Cristo è stato il primo a formalizzarlo, mentre san Paolo e in seguito sant'Agostino e san Tommaso d'Aquino hanno cercato di sistematizzarlo. Ma la secolarizzazione estesa a tutte le realtà, iniziata con la filosofia della Riforma protestante incentrata sull'individuo e sull'interpretazione soggettiva delle Scritture, ha progressivamente favorito la dissociazione del soggetto dal senso del bene comune e della dimensione universale della legge morale in nome del libero arbitrio.

Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), esponente della filosofia sincretista, è stato tra i primi a voler fare dell'«individuo» il punto di riferimento della società. Attribuisce così a Dio il discorso con cui apostrofa Adamo: «Tutte le creature hanno una natura determinata contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai, da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai [...] perché di te stesso quasi artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che tu avessi prescelto»(5). Definendosi autonomamente, il soggetto diventa così il magistero della propria esistenza e dell'interpretazione dei testi della Parola di Dio. L'uomo del Rinascimento non appare come l'espressione di un essere donato a se stesso e di un invito a donarsi, bensì si concepisce nell'idea di un'autocreazione individuale. E significativo notare come si sostituisca il concetto di persona con quello di individuo. In questo contesto, il potere dell'uomo non è più relativo bensì autosufficiente. In Occidente, siamo passati dalla separazione dei poteri ad un potere politico autosufficiente che trova giustificazione nell'approvazione dei cittadini e, in epoca contemporanea, nel giudizio mediatico. La legge morale, istanza suprema che regolamenta tutte le leggi, è stata secolarizzata e sostituita dalla legge civile che, essendo decisa democraticamente tramite il consenso, otterrebbe valore morale. Questo movimento è sfociato in numerosi totalitarismi, come il marxismo e il nazismo, che abbiamo conosciuto in Europa e le cui ideologie - veri e propri virus intellettuali - hanno inquinato altri continenti e linee di pensiero. li fenomeno prosegue tramite le ideologie del costruttivismo e della teoria del genere (di cui alcune idee sono di origine francese) che, dopo essere state rielaborate negli Stati Uniti e in Canada, ritornano in Europa con la denominazione di french theory per poi diventare una norma internazionale. Questa viene sostenuta dalle agenzie ONU, dalle ONG, dal Parlamento Europeo di Strasburgo e dalla Commissione di Bruxelles queste ideologie raccolgono l'eredità di religioni secolari come il marxismo e il nazismo, di cui l'una si iscriveva nella logica di rovesciamento dei poteri della Rivoluzione francese del 1789 e l'altra, sempre in Francia, nell'odio genocida del regime del Terrore del 1793, durante il quale numerosi cattolici vennero derubati e uccisi. Un'ideologia, ostinatamente negazionista della realtà umana, sostituisce così un'altra ideologia, affermando che l'uomo si crea da sé.

2. L'uomo è in grado di creare o di ricevere il senso della propria esistenza?

Nell'enciclica Caritas in ventate Benedetto XVI: «Con la Lettera apostolica Octogesima adveniens del l 971, Paolo VI trattò poi il tema del senso della politica e del pericolo costituito da visioni utopistiche e ideologiche che ne pregiudicavano la qualità etica e umana. Sono argomenti strettamente collegati allo sviluppo. Purtroppo le ideologie negative fioriscono in continuazione» (n. 14). In tutto il documento il tanto Padre si interroga sull'ideologia tecnocratica che genera sistemi di comprensione dell'uomo e dell'organizzazione della società irreali e contrari sia ai bisogni umani sia al bene comune. Benedetto XVI mette in guardia contro l’utopia di un'umanità tornata all'originario stato di natura» che è un modo «per separare il progresso dalla sua valutazione morale e, quindi, dalla nostra responsabilità» (n. 14). Dietro questa idea «di un'umanità tornata all'originario stato di natura» si manifestano non solo la volontà di decostruire le relazioni economiche in nome della società di mercato, ma anche la concezione di uomo e donna, coppia, matrimonio, famiglia ed educazione dei figli. In questo modo la verità dell'uomo si troverebbe in un tutt'uno indifferenziato per garantire l'uguaglianza, svincolando csìì tale verità da tutti i modelli e le rappresentazioni, concepiti come sovrastrutture che sono in contrasto con desideri primari ed esigenze particolari. In questa concezione non ci si avvicina più all'uomo come a un dato offerto a se stesso e detentore di un'ontologia che gli è propria, bensì come a un essere che si crea e si forma autonomamente. Lungi dall'essere una vocazione che nasce da un appello trascendente e che pertanto possiede già un significato, lo sviluppo umano viene spesso rappresentato attraverso l'idea che l'uomo debba darsi un senso da solo. Però, aggiunge Benedetto XVI, l'uomo «è incapace di darsi da sé il proprio significato ultimo» (n. 16). Riprendendo l'enciclica Populorum progressio`', il Pontefice afferma: «Non vi è dunque umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto, nel riconoscimento d'una vocazione, che offre l'idea vera della vita umana» (n. 16). Altrimenti l'uomo si penserà solo e si rispecchierà in se stesso, senza alcun confronto che non sia con il proprio narcisismo e con la propria autosufficienza, visione che caratterizza lo spirito pagano delle società occidentali permeate di concezioni egotiste. I «fabbricatori di illusioni»-, secondo l'espressio-ne di Paolo VI nella Populorum progressio, «fondano sempre le proprie proposte sulla negazione della dimensione trascendente dello sviluppo, nella sicurezza di averlo tutto a propria disposizione. Questa falsa sicurezza si tramuta in debolezza, perché comporta l'asservimento dell'uomo ridotto a mezzo per lo sviluppo, mentre l'umiltà di chi accoglie una vocazione si trasforma in vera autonomia, perché rende libera la persona» (n. 17). In altre parole, se il soggetto umano sviluppa una personalità particolare, nel senso psicologico del termine, egli non è all'origine del proprio essere, che costituisce la base della propria elaborazione personale e sociale. L'uomo diventa libero, autonomo e vigoroso quando conosce l'origine del proprio essere. In questa prospettiva la fede cristiana costituisce una liberazione, perché Cristo rivela all'uomo la sua verità nell'alfa e nell'omega. Una «verità» che «rende liberi» (cfr. Gv 8,32), e questa verità, che è fra le realtà fondamentali, permette di iscriversi in uno sviluppo costante che, come ci dice Benedetto XVI, è tutt'altra cosa dal costruirsi. Ma questa verità è lontana dall'essere accolta come un dato di fatto. La verità è spesso considerata un prodotto dell'uomo, mentre questa al contrario è scoperta o ricevuta (cfr. n. 34). Ed è così che «la carità nella verità pone l'uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono» (n. 34). Non riconoscendolo, l'uomo è in malafede e si rinchiude nell'egoismo del peccato originale, per utilizzare termini religiosi. Le attuali manipolazioni biologiche per facilitare la fertilità inducono l'uomo a pensare di essere il responsabile della propria origine. Nella sua autosufficienza l'uomo vuole lottare contro il male unicamente con le proprie forze e in nome delle leggi de-mocratiche che egli stesso crea. Cerca di ignorare il si¬gnificato del peccato e del male che ferisce l'uomo, im-maginando di sconfiggerlo con leggi civili che talvolta non fanno altro che rinforzarlo. In questo modo le società occidentali si « giudizializzano» all'estremo, laddove potrebbero venire esercitate forme differenti di mediazione per risolvere litigi e violazioni. Papa Ratzinger sottolinea come l'uomo moderno miri a far coincidere il benessere materiale e sociale con la salvezza o addirittura con la felicità. Volendo salvarsi da sé, non solo si smarrisce ma soprattutto si logora nella depressione", essendo incapace di trovare la propria collocazione relativamente alla fonte del suo essere. Benedetto XVI afferma che «Dio è il garante del vero sviluppo dell'uomo, in quanto, avendolo creato a sua immagine, ne fonda altresì la trascendente dignità e ne alimenta il costitutivo anelito ad "essere di più". l'uo¬mo non è un atomo sperduto in un universo casuale, ma è una creatura di Dio, a cui Egli ha voluto donare un'a¬nima immortale e che ha da sempre amato. Se l'uomo fosse solo frutto o del caso o della necessità, oppure se dovesse ridurre le sue aspirazioni all'orizzonte ristretto delle situazioni in cui vive, se tutto fosse solo storia e cultura, e l'uomo non avesse una natura destinata a trascendersi in una vita soprannaturale, si potrebbe parlare di incremento o di evoluzione, ma non di sviluppo. Quando lo Stato promuove, insegna, o addirittura impone, forme di ateismo pratico, sottrae ai suoi cittadini la forza morale e spirituale indispensabile per impegnarsi nello sviluppo umano integrale e impedisce loro di avanzare con rinnovato dinamismo nel proprio impegno per una più generosa risposta umana all'amore divino. Càpita anche che i Paesi economicamente sviluppati o quelli emergenti esportino nei Paesi poveri, nel contesto dei loro rapporti culturali, commerciali e politici, questa visione riduttiva della persona e del suo destino. È il danno che il "super-sviluppò" procura allo sviluppo autentico, quando è accompagnato dal "sottosviluppo morale"» (n. 29). 1 Paesi cosiddetti sviluppati hanno spesso esportato le loro nuove ideologie, come quelle della teoria del genere, che hanno poi condotto all'infelicità dei popoli. Contrariamente a quanto affermato dalla teoria del genere, il senso dell'esistenza si riceve e va riscoperto nella comprensione della realtà oggettiva e non in sovrastrutture costruite in un a priori di quella che potrebbe essere l'esistenza umana. A questo punto della nostra riflessione è necessario porsi una domanda per conoscere la verità del significato dell'uomo: si tratta di una verità costruita alla stregua dell'ideologia costruttivista e della teoria del genere?
da TONY ANATRELLA, La teoria del “gender” e l’origine dell’omosessualità”. Pp. 17-21.Ed.SAN PAOLO


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5. Discorso sulla dignità dell’uomo (1486)
6) cfr. Paolo VI, Enciclica Populorum progressio, dei 26 marzo 1967. Ibid., n. 11.
8) Cfr. Tonv Anatrella, Non a la societè depressive (“No alla società depressiva”), Champs-Fiammarion, P'aris 1993. Un'opera sempre attuale in cui l’ autore sottolinea la deriva della teoria del genere, che neutralizza l’uomo e il padre, presentando i quat¬tro sintomi della depressione sociale: il divorzio, l’omosessualita, la tossicomania e il suicidio.

Monday, July 16, 2012

La felicità è reale solo quando è condivisa

"Happyness ís real only when shared": (Chris McCandless, il protagonista solitario di "Into The Wild")
Dopo sei anni Dwyane Wade torna a essere campione NBA. Accettando un ruolo da numero due, per tornare a essere il numero uno Parlando di LeBron.” Non so se potrei mai essere più felice per un'altra persona, nel vederla raggiungere i suoi obiettivi nella vita, più di quanto lo sia oggi per lui.” Questo veramente è essere amici

 Sono passati "solo" sei anni da quella sfida di contro Dallas, uno dal rematch dello scorso anno- perso male. Non serve uno storico per ricordare come: il dominio di Dwyane Wade sulla prima - per l'anello contro i Mavs (e il relativo star  assoluta superstar, testimoniato dal titolo di MPV quelle Finali) e le critiche piovute in massa D-Wade e il suo nuovo partner in crime - James dopo il fallimento dello scorso giugno¬. Ancora un ulteriore salto indietro - hig: "The Decision" - ed è facile anche l'opinione comune di tutti gli osserva: Miami è e resterà per sempre la squadra di "Wade, LeBron James - ossessionato dal titolo - ha accettato di fare da "spalla" al n 3, l'ex Cavs potrà al massimo essere quello che Píppen è stato per Jordan a Chicago negli anni `90.
   OK, flash forward per tornare sul podio della conferenza stampa, questo 21 giugno. "Grazie a luì siamo qui a festeggiare ancora". The Times They Are a-Changin', cantava un signore di Duluth, Minnesota.

WADE & LEBRON

Sulle dinamiche della relazione - in campo e fuori - tra Dwyane Wade e LeBron James si sono tenuti in piedi negli ultimi due anni i sottili equilibri dei Miami Heat. "Beh, certo, ho accettato un ruolo diverso - ammette senza problemi il D-Wade, ancora fresco di doccia di champagne - è una realtà ben documentata. Ho dovuto farlo. L'anno scorso c'erano troppi quesiti nelle nostre teste, giocavamo cercando di non pestarci i piedi a vicenda. Quest'anno so di giocare con il miglior giocatore al mondo ma so anche benissimo che questo non toglie niente al mio ruolo, non sminuisce il mio contributo. Come ho detto altre volte, ho giocato insieme a un Hall of Famer [il riferimento è a Shaquille O'Neal, negli Heat del 2006, ndr] per cui so come essere il n°1 e come essere il n°2. È stato difficile per me, nessuno lo capirà mai davvero, ma allo stesso tempo è stato facile farlo per questa squadra".

Se non è un passaggio di testimone questo, difficile immaginarne un altro. Ma Wade va avanti, non si ferma qui. "Quando vedo LeBron James in campo, al mio fianco, vedo il miglior giocatore al mondo, il più dominante. È bello sapere di avere un compagno capace di dominare la partita sotto mille aspetti differenti.

Essere qui a festeggiare questo titolo mi rende felicissimo per lui. Non so se potrei mai essere più felice per un'altra persona, nel vederla raggiungere i suoi obiettivi nella vita, più di quanto lo sia oggi per lui. So quello che ha dovuto passare per arrivare fin qui, so che molti non erano d'accordo quando abbiamo unito le nostre forze, ma io e lui ne eravamo convinti. Noi lo volevamo davvero. Volevamo giocare assieme perché sapevamo che ci saremmo aiutati a vicenda nel raggiungere il nostro obiettivo, che era quello di vincere un titolo. Sono orgoglioso di LeBron, ha davvero innalzato il significato di `miglior giocatore della Lega a un altro livello". Parole importanti, significative, che non tolgono però niente, sia chiaro, alla gioia personale del ragazzo di Chicago, giunto al suo secondo anello. "Apprezzo questa vittoria molto di più di quanto abbia apprezzata la prima", dice. E lo spiega così: "Ne ho passate tante. Vincere solo 15 partite in un anno fa male. Così come faceva male essere diventati lo zimbello della Lega la stagione dopo aver vinto il titolo. Ho avuto i miei problemi personali. Ma grazie alla mia famiglia, agli amici più veri, alle persone che mi vogliono bene eccomi qui di nuovo campione, e questo trionfo me lo godrò molto più di quanto abbia fatto nel 2006. Quando sei giovane e vinci subito sei convinto di poter tornare subito a trionfare l'anno dopo. Non ci sono garanzie, invece. Non mi interessa chi si chiami a giocare in una squadra: diventare campioni rimane l'impresa più difficile che ci sia". Per questo Dwyane Wade non smette di ringraziare i suoi compagni, tutti: "Questa vittoria è la ragione per cui tutti noi abbiamo accettato di giocare assieme. Non parlo solo di me, di Chris e di LeBron: parlo di Shane Battier, di Mike Miller, di tutti questi ragazzi". Per Wade, il suo secondo anello è una vittoria di squadra - e quando parla di squadra comprende allenatore ("È un lavoratore instancabile. Zero scuse, la responsabilità dei successi e degli insuccessi è sempre e solo nostra. Questa sua mentalità è diventata la nostra") e, ovvìamente, il presidente-padre-padrone di questi Heat, Pat Riley: "Gli ho soltanto detto: `Ce l'abbiamo fatta di nuovo!' e abbiamo condiviso assieme il momento".

Perché "happyness ís real only when shared", insegnava Chris McCandless, il protagonista solitario di "Into The Wild", e si può essere numeri uno anche senza essere numeri uno. Questo è il segreto di una squadra. Questo è il segreto del Dwyane Wade edizione 2012.

tratta da RIVISTA NBA, Luglio 2012

Tuesday, June 19, 2012

Non basta il talento

Queste righe sono tratte da un articolo di Dan Peterson sulla rivista NBA (giugno 2012)
Al termine dell’articolo sono riportate alcune frasi dello stesso Robinson tratte dal sito “Atleti di Cristo”
“David Robinson è uno di quei giocatori che non si possono misurare né col metro né con i numeri. Lui è quello che gli americani chiamano "franchise player", il giocatore-franchigia: una roccia, la vera fondamenta della società e della squadra, il giocatore sempre leale ai suoi colori che non causa mai un problema. Anzi, li risolve.
Insomma, lui per gli Spurs è stato il cittadino perfetto, il leader della squadra, la faccia della società nonostante San Antonio non sia certo il mercato più importante della NBA. Uno come David Robinson non ha mai chiesto di andare a giocare a Washington, a due passi da Annapolis, per fare un esempio. Anzi, ancora oggi vive a San Antonio.

La cosa che mi ha maggiormente impressionato di David Robinson è stata la sua grande duttilità. Quando è arrivato Duncan, la gente (giustamente) si è chiesta: "Finiranno per pestarsi i piedi? Chi gioca centro e chi gioca ala? Vorranno entrambi giocare in post basso?". Mille domande, altrettanti dubbi. Invece, grazie anche al talento di Duncan (altra super persona), zero problemi. Se Duncan giocava in post alto, Robinson giocava in pivot basso; se Duncan andava in pivot basso, Robinson saliva in post alto senza problemi, senza perdere nulla. Anzi, era un ottimo passatore "alto¬basso" per Duncan sotto canestro.

Non mi ricordo chi, ma un grande coach ha detto: "Non si vince solo con il talento, si vince con la gente". Vuol dire che l'abilità è importante ma una persona positiva è ancora più fondamentale. Quando allenavo la Virtus Bologna, dal 1973 al 1978, il nostro boss, l'Avv. Gianluigi Porelli, una volta mi disse: "C'è una bella differenza fra il grande giocatore e il campione". L'ho sempre trovata una frase importante, educativa. Vuol dire che il talento è una cosa.. ma che il campione è quello che usa quel talento per vincere per la squadra.... David Robinson era quel raro elemento: il grandissimo giocatore che era anche un grande campione.

E quando si parla di ottime persone, San Antonio in questo è geniale: David Robinson, Manu Ginobili, Tim Duncan, Tony Parker. Scelgono giocatori disponibili per la squadra. Chiaro, poi riaccolgono anche uno come Stephen Jackson, ma a fine carriera, più maturo, voglioso di vincere, affamato per un altro titolo. E questa tradizione è iniziata con David Robinson. È stato lui a dire (senza dover aprire bocca!): "Qui ci si comporta in questa maniera; qui l'egoismo non ha posto; qui siamo venuti per vincere; qui il compagno viene davanti agli obiettivi personali; qui siamo fratelli e non cugini". Per questo, oggi, il suo nome è nella Top 50 di ogni tempo della NBA e, come detto, nella Hall of Fame.

Chiedo scusa, quindi, se non mi sono soffermato a lungo sul gancio mancino del n°50 nero-argento, sul suo timing per la stoppata, sulla capacità di dare l'assist o di andare a rimbalzo con cattiveria. Basta andare in rete e si viene travolti dai numeri e dai record di Robinson. Come ex-allenatore, ci tengo molto a esprimere il mio parere sull'uomo, sul leader, sull'esempio, sul cittadino e posso confermare il ruolo della USNA in tutto questo. Perché è molto più di un'università: è un'istituzione che assegna lauree, sì, ma che insegna anche dei principi e un senso dei valori che non si comprano al supermercato. David Robinson è un prodotto di quella scuola. Anzi, il più emblematico di tutti, il Numero Uno. (pag. 64)

-Ogni volta che metto i piedi in campo – spiega Robinson – penso a glorificare Dio. Io voglio essere sicuro che la gente non pensi che io sono grande, ma quanto in realtà lo sia Dio. Voglio che le persone capiscano come tra me e loro non ci sia nessuna differenza. Solo per la grazia di Dio sono cresciuto fino a diventare alto 2,13 metri. Tuttavia, la cosa più meravigliosa nella mia vita non è l’essere alto 213 cm, giocare a basket o avere tanti soldi. La mattina mi sveglio e quasi mi viene da piangere se solo penso che Dio è così buono con me: mi ha dato tre bambini fantastici e una moglie meravigliosa. Egli è Colui che dona ogni bene alla mia vita”.

“Il canestro fatto da uno che conosce Dio potrebbe servire ad amare le persone, a incoraggiare la gente, a mostrare l’amore e la luce di Cristo nelle loro vite. Parlare di Gesù alle persone è importante, ma non serve a nulla senza dare un buon esempio. Io voglio che i fan vedano e conoscano Gesù. Io voglio che i miei compagni di squadra vedano e conoscano Gesù. Alle Olimpiadi, sono rimasto meravigliato di quanti tipi di persone Dio abbia creato. Sono stato felice di aver potuto vedere culture differenti”.

Monday, May 28, 2012

Che forma ha il Paradiso?

 Francisca Javiera Del Valle , umile operaia in una sartoria all’inizio del 900, racconta la sua esperienza mistica del Cielo con un linguaggio semplice e teologicamente perfetto. Descrizione che è insieme preghiera estatica. Riesce a comunicare "qualcosa"  di ciò che san Paolo parla nella prima lettera ai Corinti" Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì,né mai entrarono in cuore di uomo,queste ha preparato Dio per coloro che lo amano."
 Pagg 95-99 , DECENARIO DELLO SPIRITO SANTO, Javiera Del Valle. ed. ARES


Quello che esiste là chi potrà mai spiegarlo, se l'anima, rapita da quelle bellezze, non riesce a dire nulla? Tutti coloro che lì godono di Dio si incontrano, si guardano, si rallegrano gli uni con gli altri. In questo luogo non si ode parola alcuna. Oh, linguaggio divino! Riflettendosi in Dio tutti si comprendono e, rapiti, glorificano Dio. Spostandosi agilmente per quei cieli scon­finati, si resta sempre nel centro di Dio, dovunque si vada e dovunque si desideri andare. Sono sempre nel centro di Dio e sempre rapiti dalla sua divina leggiadria e bellezza. Infatti Dio è un oceano immenso di meraviglie e di divina essenza che si diffonde e si diffonderà sempre. E siccome ciò che si diffonde sono la grandezza, la bellezza, la gioia, la felicità e tutto quanto è racchiuso in Dio, l'anima nuota continuamente in quella gioia, in quella felicità e in quella gloria che Dio fa scaturire da sé. Dio è cielo sconfinato: perciò di continuo si vedono e si godono nuovi cieli dalle inimmaginabili bellezze e meravi­glie, che l'anima vede come nel centro di DioE percorrendo quegli infiniti cieli nuovi l'anima si ritrova eternamente felice.
, e ne gode per sempre.
Chi potrà mai dire che cosa sia? Se tutti i cherubini venissero sulla terra e incominciassero a parlare con l'intelligenza particolarmente privilegiata che Dio ha dato loro e con il loro ardente desiderio che Dio sia conosciuto attraverso le sue opere, neanche loro saprebbero dirci alcunché e neppure darci un'idea di quello che è. Ci sarà qualcuno che possa parlarci e dirci qualcosa del nostro Dio? Non ha corpo né forma né figura alcuna; chi, pertanto, ci potrà dire com'è? Quale corpo, forma o figura ha la perfezione di tutte le perfezioni e la perfezione di tutte le bellezze? A stento riusciamo a farci una idea delle cose che vediamo e tocchiamo... Se non siete d'accordo, ditemi: quale forma ha la chiarezza? E l'aurora del mattino? E la nostra vita? E quella di tutti i fiori, delle piante e di ogni essere vivente? Oh, vita che vivi da sempre! Unica vita vivente! Mio Dio e mio tutto! Chi ci sarà che possa parlarci di te e dirci come sei?

Se chi ti vede resta a tal punto rapito e dimentico di sé da non sapere se vive in sé, perché il solo ricordarsi di te lo trasporta fuori di sé, chi potrà dirci qualcosa di te? Come paragonare la conoscenza di Dio che si acquisisce nella scuola divina e ciò che sapevamo prima di entrare in essa? Non si può fare alcun paragone se non quello del cieco nato che, sapendo che cos'è la natura perché gliel'hanno descritta, all'improvviso perdendo la cecità la vede così com'è. Ben saprebbe dirci lui la differenza fra quello che gli hanno descritto e quello che è! Perciò, o mio Maestro, guida tutti noi alla tua scuola affinché, come il cieco, vediamo quello che tu sei, altrimenti nessuno è in grado di dircelo.

Come può, una creatura che per natura non è nulla esprimere tutto questo a parole? Come sarà in grado di dirci che cos'è quello che è, se questo le risulta incomprensibile per la sua immensa grandezza e maestà? Non esiste intelligenza umana o angelica, per immensa che sia, che possa dircelo, perché qualsiasi immensità che non sia quella di Dio ha un limite, e oltre non va. Chi ci parlerà di Dio e ci dirà com'è? Nessuno, nessuno, né in cielo né in terra.

È fuoco di eterna luce che racchiude immensi fulgori; sorgente di perfezione che racchiude tutte le virtù. Ognuna delle sue infinite perfezioni ha il suo modo di essere, ed è naturalmente infinita quanto a leggiadria e bellezza, tanto da rapire. E infatti chi la vede viene tanto rapito da restare come privato dell'uso di ragione e assorbito nella stessa bellezza e leggiadria che gli vengono trasmesse, e nel percepire ciò si sente ancor più privato della ragione, assorto e rapito dalla gioia e dalla felicità che sente dentro l'anima. E tutta questa gioia e questa felicità le ha provate nel vedere una delle perfezioni di Dio. Figuriamoci che cosa proverà alla vista di tutte le perfezioni, di tutte le virtù e di tutti i poteri di Dio! Che cosa proveremo, ognuno di noi, nel vederci amati da Dio prima di tutti gli angeli e di tutti gli uomini, con un amore qual è l'amore di Dio, che lascia l'anima inebriata da una felicità impareggiabile, tanto piena di soddisfazione che non si desidera nessun'altra cosa? Infatti l'amore di Dio dà all'anima e al corpo la sazietà in tutti gli stati di felicità, gioia e gloria, senza che questo amore diminuisca e smetta di amarci per i secoli dei secoli.

Che cosa sentirà l'anima quando si vede amata tanto e per sempre da Colui che è l'unica cosa che esiste? E chi ci potrà spiegare o dire ciò che l'anima sente guardando Dio, quando al solo vederlo essa si sente annegare in quegli immensi oceani, mari senza fondo, cieli dilaganti nell'infinito e nell'eterno? Tanto è racchiuso nella Divina Essenza.

E poi, chi ci potrà dire chi è Dio se ciò che si avverte al solo vederlo è indicibile, perché l'anima si svuota della sua vita e vive deificata soltanto in Dio? Che cosa ci potrà dire se, deificato il suo vivere, è assorta in estasi e rapita dall'abbondanza di tutte le felicità? Come ci potrà parlare di Dio? Chi, rapito, potrebbe articolare parola? E se anche potesse, come potrebbe spiegare quello che è al di sopra di ogni intelligenza? E se la mera vista di Dio ha questi effetti, che cosa proverà l'anima quando Egli stesso le si darà in possesso per godere e godere per sempre di Lui? E se si ottengono questi effetti soltanto al vederlo, quale godimento avremo nel possederlo? Che sarà Dio in sé stesso?

Oh, Grandezza somma! Vita che sempre hai vissuto di tua vita propria! Perché tu sei colui che ha dato la vita a tutti gli esseri! Come vorrei, ora, in questa vita presente, avere una gioia infinita e usarla per godere della consapevolezza che tu sei chi sei! E pensare che gli uomini negano la tua esistenza, quando tu sei l'unica cosa che esiste e vive di vita propria! O mio tutto in tutte le cose! Parla, fa' che ti sentano da un confine all'altro della terra e dì a tutte le creature che non hai alcun bisogno di noi, ma ci desideri solo per venire incontro alle nostre necessità e per trarci dalla nostra pochezza e miseria, per darci la gioia e la felicità che cerchiamo e non troviamo e nemmeno potremmo trovare perché sono solo in te, fonte e sorgente di tutta la gioia e di tutta la felicità. Ma come possono cercarla in te, se non credono in te e negano la tua esistenza?

Oh, Santo e Divino Spirito, vieni! Discendi sulla terra e ferisci tutti i cuori come tu sai ferire, perché così feriti da te non possano più resistere alla tua divina chiamata e abbandonino le bambinate in cui si stanno trastullando, inganno infernale col quale Satana conquista i cuori degli uomini che sedotti e ingannati trascorrono la vita in distrazioni infantili fino a che non sono colti dalla morte, perdendo così il fine per cui sono stati creati.

Santo e Divino Spirito, non lasciarci nei nostri vani passatempi. Spingici, con la forza che hai per il vero Dio che sei, a venire a te. Fa' che in tutti si compiano i tuoi amorosi disegni e da tutti tu sia onorato, lodato e glorificato, e noi possiamo godere della tua bontà divina, e tutti alla tua presenza divina, deificati, per te possiamo vivere per i secoli senza fine come tu hai desiderato già prima della nostra esistenza. Amen.


Thursday, May 10, 2012

contemplazione e realtà

"la contemplazione è prima di tutto un certo modo di penetrare più a fondo la realtà". 
(Jean Danielou :  LA TRINITA E IL MISTERO DELL’ESISTENZA.pag.9)

Leggiamo l'introduzione di questo breve ma denso scritto:

Quanto più si allarga nella vita del cristiano la dimensione dell'azione temporale, tanto più la testimonianza contemplativa la deve contro­bilanciare. Nelle trasformazioni della, odierna civiltà si esprime la ricerca oscura del pieno compimento dell'uomo: un compimento impos­sibile al livello di una civiltà esclusivamente materiale, o di una società umana puramente fraterna. Alla radice della crisi attuale del mon­do si trova la ricerca di Dio. Si tratta di ren­dere presente, nella civiltà tecnica, la dimen­sione della trascendenza, al di fuori della quale non esiste possibilità di un umanesimo. È vero anche a livello della creazione della città. Se non vi sarà posto per l'adorazione, se la città si costruirà senza Dio, non soltanto non sarà religiosa, ma non sarà neppure umana. Proprio perché l'uomo di oggi tende a rendersi autosufficiente, l'adorazione diviene la battaglia più urgente. Una città in cui gli abitanti resta­no senza pane e senza casa è una città inumana; ma anche una città in cui è assente la luce na­scosta della preghiera è una città inumana .

Ritornano alla mia memoria alcune delle parole di Alvaro Del Portillo riferite a san Josemaria Escrivà "  Massimamente utili nella Chiesa di Gesù non sono i cosiddetti uomini pratici e neanche i puri banditori di teorie, bensì i veri contemplativi, dominati da una passione lucidis­sima e infaticabile: divinizzare e trasfigurare in Cristo e con Cristo tutta la realtà creata. Non è un paradosso asserire che, nella Chiesa di Gesù, soltanto la mistica risulta veramente pratica.

In particolare nella contemplazione della Trinità "ci si svelano le ultime profondità del reale, ci si svela il mistero dell'esistenza. La Trinità è principio e origine della creazione e della redenzione; nel mistero della lode e dell'adorazione ogni cosa le è infine rapportata. Al di là di tutto, dà a tutto la sua consistenza. Tutto procede da lei e a lei tende. La conver­sione essenziale è quella che ci fa passare dal mondo visibile, che ci sollecita da fuori, al mondo invisibile: mondo insieme assolutamen­te reale, perché costituisce il fondo ultimo di ogni realtà, e assolutamente santo ed ammira­bile perché fonte di ogni beatitudine e di ogni gioia. In ogni conversione particolare, in ogni pro­gresso della vita, si trova questa conversione di fondo: apertura alla realtà fondamentale del­le Persone divine, scoperta che in esse risiede la pienezza dell'essere, appello a trovare in esse la nostra sufficienza e il nostro tesoro nel tempo e nell'eternità. Perciò la contemplazione è prima di tutto un certo modo di penetrare più a fondo la realtà. E, al contrario, il peccato è mancanza di apertura alla vera realtà, è limi­tazione nel mondo esteriore e superficiale, il mondo del nostro egoismo. Dobbiamo entrare in questa conversione con­templativa fondamentale, cercando di aprirci alla realtà sovrana della Santissima Trinità, di riempirci i cuori della sua luce, lasciando il re­sto per rivolgerci a lei. (pag 9 )

Monday, April 16, 2012

La liturgia è una guerra

Chi ha letto il libro di Scott Hahn "Roma dolce casa" non può fare a meno di conoscere  questa seconda opera tradotta in taliano: "La cena dell'Agnello, La Messa come Paradiso sulla terra" pubblicata dall'editore CANTAGALLI. Sotto un breve passaggio, in cui, simpaticamente, si tratta della Messa come combattimento !

"Però la guerra è guerra. Anche se la nostra vittoria è assicurata, il combattimento in sé non sarà necessariamente facile e questo vale specialmente a Messa. Conoscendo il potere della grazia, il diavolo ci assalterà con più fòrza, dice un antico maestro, in tempo di feste solenni e durante la Divina Liturgia - soprattutto quando stiamo per ricevere la Santa Comunione".
Qual è il nostro combattimento concreto durante la Messa? Magari reprimere il disprezzo verso i fedeli che hanno un profumo troppo forte, o verso il tizio che canta stonato; trattenere un giudizio negativo verso il parrocchiano che sta andando via prima; guardare altrove quando iniziamo ad ammirare quella scollatura così bassa; tenere a bada le smorfie quando ascoltiamo un'omelia infarcita di errori grammaticali; o sorridere bonariamente alla mamma con il bambino che strilla. Queste sono dure battaglie. Probabilmente non sono tanto romantiche quanto combattere con le sciabole in un remoto deserto, o marciare attraverso gas lacrimogeni per protestare contro l'ingiustizia. Tuttavia sono così perfèttamente nascoste, tanto interiori, da richiedere un maggiore eroismo. Nessuno, tranne Dio e i Suoi angeli, saprà che questa settimana nella tua mente non hai criticato l’omelia del parroco. Nessuno, tranne Dio e i suoi angeli, noterà che hai ritirato il tuo giudizio negativo sulla famiglia svestita. Certo, non riceverai nesuna medaglia, ma vincerai una battaglia. (pag. 143)"

Saturday, April 14, 2012

La risurrezione è il fondamento del mondo vero

Romano Guardini nella sua splendida opera          "Il Signore" continua a suggerirci riflessioni profonde sulla figura di Cristo

Gesù si colloca rispetto al mondo in maniera diversa da noi. Diversa a confronto dell'uomo che è un puro uomo. Diversa nei riguardi di Dio da quella di un credente. Diversa quanto alla propria esistenza, al vivere e al morire, da quella di tutti noi. Già qui sta il fondamento su cui poggia la risurrezione.
Qui siamo posti davanti a un aut-aut, che è radicale. Finché prendiamo come parametro noi stessi: la nostra esistenza umana, quale essa è; il mondo, come sussiste per noi; la modalità in cui procedono il nostro pensare e sentire - e da quella prospettiva giudichiamo Gesù Cristo, allora siamo costretti a considerare la fede nella risurrezione come un risultato di determinate scosse religiose, come un prodotto della formazione della comunità nei suoi inizi, ma ciò significa come illusione, inganno.
E allora si riduce a una questione di coerenza la misura della rapidità con cui la si rigetta, insieme con i suoi presupposti e le sue conseguenze, e si cerca di lavorare all'enucleazione di un "cristianesimo puro". Esso naturalmente non sarà molto più che un'etica e una pietà religiosa assottigliate... Oppure ci si fa chiaro che cosa esige la figura di Cristo, cioè la fede. Noi riconosciamo che non è venuta per portarci nuove conoscenze ed esperienze nell'ambito del mondo, ma per liberarci dall'incantesimo del mondo. Noi ascoltiamo l'esigenza che ci pone e le obbediamo. Accogliamo i criteri, a norma dei quali si deve pensare a Cristo, dalla sua stessa figura. Siamo dispo¬sti ad apprendere che egli non fa avanzare il mondo con valori e forze più nobili o più interiori, ma che con lui ha inizio l'esistenza nuova. Attuiamo quella rotazione dell'asse, che si chiama appunto "fede" e secondo la quale non si riflette su Cristo movendo dal mondo, ma, partendo da lui, su tutto il resto.
Allor non diciamo più: nel mondo non si verifica il rivivere di un morto, quindi il messaggio della risurrezione è un mito  ma  Cristo è risorto, dunque la risurrezione è possibile e la sua risurrezione è il fondamento del mondo vero.
Nella risurrezione si rivela quanto fin dall'inizio si trovava nell'essere vero di Gesù, del Figlio dell'uomo e del Figlio di Dio. Quando riflettiamo sulla nostra esistenza propria, ci si presenta come un movimento, che esordisce nell'oscurità dell'infanzia, più o meno ampiamente a ritroso a seconda della forza della memoria; poi sale, giunge a un culmine, si curva, per sprofondare da ultimo, con un declino più o meno compiuto o interrotto bruscamente. Quest'arco della mia esistenza ha inizio nella nascita e termina nella morte. Dopo la discesa dell'arco si stende di nuovo la tenebra, al dì là della quale porta un indeterminato sentimento di speranza... In Gesù Cristo non è così. L'arco dell'esistenza per lui non inizia nella nascita, ma s'inarca a monte d'essa nell'eternità. «Prima che Abramo fosse, io sono!» (Gv 8, 58). Non sono parole di un mistico cristiano del secondo secolo, come si è affermato, ma espressione immediata di ciò che viveva in Cristo. E l'arco non sprofonda nella morte, ma, portando con sé la sua intera vita umana, prosegue attraverso l'eternità: «Lo uccideranno e il terzo giorno risusciterà» (Mt 17, 23). La coscienza dell'esistenza che ha Cristo possiede una profondità e un'ampiezza totalmente altre, un rappor¬to con la morte totalmente altro dalla nostra. La morte nella sua coscienza è soltanto un passaggio, per quanto colmo della più grave importanza. «Non era necessario che Cristo soffrisse tutte queste cose, per entrare così nella sua gloria?», chiede il Signore al discepoli sulla via verso Emmaus (Lc 24, 26)... La risurrezione realizza ciò che egli ha recato in sé già da sempre. Chi rifiuta la risurrezione, rifiuta con azione retrospettiva anche tutto ciò con cui essa è strettamente unita nell'essere e nella coscienza di lui. Quanto poi ancora rimane, non val più la pena di credere con una fede.
R. Guardini, Il Signore pp 538-539