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Friday, August 22, 2014

Venezia. La città ritrovata


Alcune frasi tratte dal libro di Paolo Barbaro, Venezia. La città ritrovata. ed. Marsilio PD
 
Ma non solo il tempo atmosferico cambia, appena arriviamo in laguna, sulla gronda. Cambia, ogni volta anche il tempo degli orologi. Bisogna rimettere l'orologio e noi stessi su un'altra marcia.

     Si scende dal treno o si esce dalla macchina: pochi passi, si sale in battello, e cambia. Cambia il battito dell'orologio. Si vede subito, si sente: la velocità del battello è un  ventesimo (in media)  della  velocità  della macchina. Lo senti  sulla  pelle:  più  che  una  corsa  sull'acqua, ora,  appena metti  un  piede  in battello, è una lenta   fermata,  un'inquieta  decelerazione.  Cambia  il moto  e la misura  del moto, il ritmo  e il  senso  del tempo.  Tempo più  dilatato, forse;  certo  più lento vivremo più a lungo?

       Tutto più  lento,   ma  lo  sguardo si  fa  più  attento, acuto. Noi meno  insensibili. le cose più visibili: "si vede" finalmente, si osserva,  si sente.  Muri,  case,  qualcuno  sulla  riva. Si ha voglia di parlargli. Poco  per volta il miracolo: vediamo come  se sentissimo, sentiamo come  se vedessimo. Anche  il cielo  cambia. Più  esattamente: questo è il cielo. Proprio celeste,   perla,  dorato, moltiplicato dall'acqua,  al di dell'acqua, secondo il giorno e l'ora. Anche  nebbia   azzurra,  bora   bianca, foschia   fin  dentro l'anima, dipende da noi. Nelle metropoli a quest'ora  il cielo  è piscio  giallo,  non  si sa dov'è la città- questa-  è la città. Cambia  il buon   Dio,  col  battito diverso  dell'orologio? Cambia il mondo delle  sensazioni non  comunicabili. Vivremo, in un altro  modo, più a lungo.(pagg.149-150)

 

§     §      §

                                                

       Tra la    piccola   Venezia   e  le  nostre  conurbazioni sempre più grandi. Tra questo oscuro dedalo di calli e la campagna con  niènte   più  albèri  e sempre più  strade, non  è questione di scelta  assoluta: piuttosto va tentato lo  sforzo   estremo di  mettere insieme   qualcosa  delle contrastanti esperienze urbane e umane, i  due  modi  di stare al   mondo.  Lo   sforzo   di  integrare   al  mèglio, ognuno di  noi, gli opposti  tentativi:  per  realizzar la comune aspirazione di  orizzonti insieme  meno  brutti e  più  razionali, d’un  possibile  equilibrio  umano,  una ritornata abitabilità e  umanità   dei  nostri  aggregati  di cemento o  di  pietre,   della  natura   e  del  mondo.  Tra infinite  incertezze sentiamo dentro  di  noi  quale può essere il   nostro  compito;  ma  abbiamo  anche   l'impressione che  ogni  cosa  ci stia  sfuggendo come  non mai,  che  tutto   corra   troppo in  fretta, altro  che  "come  un  fiume''.  Qualche valore  forte  dobbiamo  fermarlo,   ripescarlo a tutti  i   costi nel  fiume;  anche  con la  parvenza oggi  del  valore-debole, come  ancora   Venezia suggerisce.

             Passando ogni  giorno, come  tocca  fare,  per Santo  Stefano e dintorni, traversando il centro di Venezia senza più  un turista  in queste sere  di novembre, e più ancora  perdendomi in certi  quartieri bellissimi  e desolati, torna  per  primo  il pensiero che forse  così com’è Venezia  sta  diventando inabitabile per  l'uomo  di questi  anni ; sicché  qualcosa   bisognerà pur  fare,  aggiungere,  modificare,  scegliere:   accettare anche  qui, per non  finire  a calpestare solo un palcoscenico vuoto. Ma insieme, subito dopo, torna  i] pensiero - la  certezza - che  qualcosa  di  fondamentale si  può  esportare proprio da qui.  Forse  soltanto da qui. Qualcosa di difficile anche  solo da dire, da esprimere, perché non è misurabile o definibile, non  è (o è solo in parte)  materiale: il senso  del  tempo che  non  passa completamente, continua dopo di  noi,  per  gli altri  che  amiamo; il valore della  bellezza-città, con  le sue  potenzialità senza  fine; l'idea  stessa  di città,  che  non  può  più crescere solo come  ricorrente inferno tecnologico: il soffio  improvvisamente tenero di una esistenza meno  convulsa, d’una   necessaria  "lentezza".  D’una certa ripresa  di relazioni  tra ieri e oggi, tra padri e figli; una possibile concordanza tra  il mondo in  cui si sosta  per  qualche anno,  e quello  che continua a vivere negli esseri e nelle cose:  quella  conciliazione fra  l'arte e la tecnica,  tra lo spirito e "i schèi", senza la quale siamo  tutti  perduti

      La  città  necessaria, in poche  parole.  Succede perfino, da  queste arti,  nelle calli più  abbandonate,  che   avvertiamo  volta   anche   il sempre  più  raro  "inavvertibile" - senza  volerlo,  quanto meno te lo  l'aspetti  - : la  presenza d 'un  oltre  che  ci sorprende tutti,   indietro  nel   tempo  e  più   avanti . Capita in certi  momenti che  altrove  sono  considerati “tempo  perso"; nelle  rare frange  senza  appuntamenti, senza  orari  precisi,  che  a noi  stessi  sembrano spesso irraggiungibili,   senza   senso.   La  presenza d'un  oltre.  senza  definizioni, che pure  bussa  chiaramente al cuore umano,  nelle ore  più impensate, nella vecchia città.

(Pagg. 228-229)

Thursday, November 28, 2013


 

IL CAMPANILISMO E’ DENTRO DI NOI :
              COME COMBATTERLO
Considerazioni di Dante Alighieri sul pregiudizio regionalistico

 Perché chiunque ragiona in modo così spregevole da credere che il posto dove è nato sia il più gradevole che esiste sotto il sole, costui stima anche il proprio volgare, cioè la lingua materna, al di sopra di tutti gli altri, e di conseguenza crede che sia proprio lo stesso che appartenne ad Adamo. Ma noi, la cui patria è il mondo come per i pesci il mare, benché abbiamo bevuto nel Sarno prima di mettere i denti e amiamo Firenze a tal punto da patire ingiustamente, proprio perché l'abbiamo amata, l'esilio, noi appoggeremo la bilancia del nostro giudizio alla ragione piuttosto che al sentimento. Certo ai fini di una vita piacevole e insomma dell'appagamento dei nostri sensi non c'è sulla terra luogo più amabile di Firenze; tuttavia a leggere e rileggere i volumi dei poeti e degli altri scrittori che descrivono il mondo nell'assieme e nelle sue parti, e a riflettere dentro di noi alle varie posizioni delle località del mondo e al loro rapporto con l'uno e l'altro polo e col circolo equatoriale, abbiamo tratto questa convinzione, e la sosteniamo con fermezza: che esistono molte regioni e città più nobili e più gradevoli della Toscana e di Firenze, di cui sono nativo e cittadino, e che ci sono svariati popoli e genti che hanno una lingua più piacevole e più utile di quella degli italiani
 (Dante Alighieri, De vulgari eloquentia)

 
 

Thursday, February 07, 2013

Le 7 domeniche di san Giuseppe













da Gianpiero Pizziol, "Giuseppe il falegname"

Il padre e il figlio

- Passava il tempo e mi facevo vecchio,
parecchio del lavoro ormai
pesava sulla spalle di Gesù, ma lui
    sembrava non avere fretta
   di andare a predicare anche se tutta
    la gente lo ascoltava attenta.
- Non è ancora pronta
la mia anima - diceva spesso.
Così a volte se ne andava a spasso
da solo per un giorno intero
e ripeteva al ritorno: - Quante cose
ho imparato oggi giù in paese
da un pescatore che vendeva il pesce!
Il mondo non finisce
di stupirmi con tutti i suoi misteri! -
Una volta lo vidi nei cantieri.
Chiacchierava con dei muratori.
C'era vicina
una casa in rovina
abbattuta dalla piena del fiume.
Le fondamenta per prime
avevano ceduto,
il pavimento gli era andato dietro,
quindi le mura e il tetto con le travi.
Eppure i materiali erano nuovi,
costosi, resistenti.
Il vecchio carpentiere davanti
spiegava: -Han fatto male i conti.
Qua sotto è tutta sabbia e argilla.
Basta una pioggia e crolla
anche un palazzo. Solo un pazzo
può fare una casa che non poggia
sopra la roccia. -
Lui ascoltava tutto, era affamato
di cose da imparare:
lo trovavo a discutere nei campi
coi contadini sui raccolti e i tempi
delle semine, a volte coi pastori
che salivano ai pascoli autunnali.
Parlava con tutti e un po' di tutto,
ma era anche capace di star zitto,
di ridere, giocare insieme agli altri
o arrampicarsi sugli alberi più alti.
Gesù aveva qualcosa di speciale.
So già cosa vorreste dire.
-Ogni padre lo dice di suo figlio.
Ognuno vede sempre il meglio. -
È naturale.
Ma il mio era davvero
fuori del normale ...
Era un giorno di sole
quando scendemmo fino a Cesarea,
una città più romana che ebrea.
Ci incamminammo al porto verso il mare.
C'erano mille storie lì da ascoltare:
pescatori di perle e di tesori,
eserciti sconfitti e vincitori,
storie di viaggi e viaggiatori.
Chi aveva affidato i suoi averi
ad amici fidati richiedeva
il suo e misurava
il valore degli amministratori
con i guadagni in opere e denari
e in beni acquistati.
- I talenti non vanno seppelliti
nel buio di una buca- dissi io.
- Ci dona tutto Dio,
ma si aspetta  un frutto.  -
Lui mi rispose: - E qual è il tuo talento,  padre  mio?-
-Bella domanda. Io non sono un santo. Soltanto  un falegname assunto
dal Padreterno per restare accanto a tua madre e benedico  il giorno
in cui mi ha scelto e mi ha donato  tanto. Perciò non mi spavento
di nulla e non mi do per vinto.
Sono pronto ad andare  in capo al mondo con voi. Il mio talento?
Solo questo: essere contento di questa vita insieme
e del mio nome di esperto falegname. -
-Tu hai trovato il tuo destino e il mio? -
- Se non lo sai tu che sei Dio non posso dirlo io. -
Prese un frutto  di melagrana
e me ne offrì metà, poi disse piano:
-Dio si è messo nelle vostre mani, per questo non so nulla del domani. Dipenderà dagli uomini. Chissà
se si dovrà arrivare
fino in fondo  a vivere o morire? -
In silenzio continuammo a mangiare. E alla fine aggiunse sorridendo:
- Comunque sia, mi piace questo mondo e non farei diverso
neppure un angolo di tutto l'universo. -

pagg.147-149

 

Thursday, October 25, 2012

Vita mutatur non tollitur


Per la ricorrenza della commemorazione dei  defunti si adattano bene queste parole tratte dal libro di Luigi Tirelli, che se n'è andato in Cielo qualche giorno fà (il 18 ottobre). Don Luigi è stato il primo  italiano ad essere ordinato sacerdote nella Prelatura dell'Opus Dei Era nato a Reggio Calabria nel 1921 e si era trasferito a Roma nel 1933. Si è laureato in Lettere alla Sapienza e in Filosofia all’Angelicum, nel 1952.Negli anni ‘60 fu Vicario Regionale per l’Italia e negli anni ‘70, con l’incoraggiamento di san Josemaría, fu uno dei promotori del Cris (Centro Romano Incontri Sacerdotali). Dal 1981 al 2000 è stato alla guida della parrocchia di Sant’Eugenio a Valle Giulia, a Roma, svolgendo un abbondante lavoro pastorale, fino ai suoi ultimi giorni, quando dedicava tanto tempo in confessionale alle confessioni e alla direzione spirituale. 
Per noi tutta la carne è salva, perché purificata, liberata, riscattata dal Crocifisso: con Lui sepolti, con Lui risorgiamo. E risorgiamo interi, anima e corpo in una unita più gloriosa di quella della creazione, perché porta ormai l’immagine di Cristo trionfante. La gloria della Risurrezione, stampata nei redenti, ci autorizza a cantare anche nei funerali, anche nelle liturgie dei defunti, perché il cristiano sa che "vita mutatur, non tollitur" che la vita non e tolta, ma trasformata: non e l’esaltazione di una memoria che idealizza alterando la realtà e tantomeno la consolazione di una rievocazione nostalgica di presenze perdute. E il canto pieno della fede in un presente sempre reale e in una realtà sempre presente. Le larve e i fantasmi, noti alle concezioni pagane, cedono il posto alla credenza nei vivi dopo la morte. Impressionante la testimonianza di Giobbe che, dopo ripetuti accenti di umano sentire sull’irrevocabilità della corruzione e della morte, prorompe in un grandioso, profetico atto di fede nella risurrezione del corpo: “Io lo so che il mio Redentore  è  vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!” (Gb 19, 25). La potenza del Redentore é presentata da alcuni versetti di Matteo che parlano di un anticipo della finale restituzione dei corpi: ”...i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella citta santa e apparvero a molti» (Mg; 27, 52-53).
Il soffio di vita che pervade tutto il messaggio cristiano impedisce che ci fermiamo davanti ai sepolcri come davanti a un trionfo della morte, o che li scambiamo per ammonimento ai vivi. Per ogni credente si rinnova la domanda degli angeli alle pie donne: “Perché cercate tra i morti colui che e vivo?” (Lc 24, 5). Parlare con i morti come si fa con i viventi non e l’illusione di chi tenta di captare voci nell’etere, inutile e irrispettosa impresa di quanti vacillano nella vera fede; e la normale conseguenza  di questa continuità  della vita nella Vita. “In Cristo viviamo”, afferma ripetutamente l'Apostolo, e in Cristo anche parliamo con gli altri. Il colloquio del cristiano con i defunti non e l’illusoria consolazione foscoliana che il sopravvissuto procura a sé stesso: e la potente comunicazione in Christo Iesu   di affetti, pensieri, promesse. Infatti io prego il fratello passato a vita duratura, nella fede della Chiesa, che mi da assicurazioni della santità delle anime purganti e mi insegna altresì che ho mezzi per suffragarle, per aiutarle nel loro stato di purificazione. Questo rapporto di amorosa corrispondenza e un bene assai grande che non ci è permesso di smarrire nel turbine degli interessi terreni.
Come c’é un dovere di fedeltà verso i consanguinei, gli amici, i benefattori che tuttora vediamo e con i quali viviamo, esiste lo stesso obbligo verso coloro che sono scomparsi dalla scena di questo mondo. La pietas e più che un sentimento; è una virtù e un dono che ci fa compiere atti meritori. La pieta verso i defunti ha un carattere gratuito, che nessun materialismo e in grado di spiegare; pregare per quanti non hanno alcuna possibilità fisica di dirci un "grazie" e una delle forme di amicizia più pure che esistano, e d’altra parte noi cristiani siamo in una costante corrente di simpatia con gli spiriti di ogni tempo. La piu caratteristica espressione di questo "salire e scendere" di preghiere e di grazie, come scala di Giacobbe di inesausta ricchezza, e rappresentata dal culto dei santi. Non a caso la Chiesa fa precedere il 2 novembre dalla festa di tutti i santi: i quali, amici di Dio, sono i più autorevoli intercessori presso di Lui. Non e soltanto l'uomo colto che avverte affinità e consonanze con quelli che l’hanno preceduto nelle lotte per la vita dello spirito; e anche l’uomo della strada a intuire nel santo patrono, nel modello popolare, un suo portavoce, un interprete della sua coscienza e un amico per i suoi bisogni. Chi ride di questo scambio apparentemente superstizioso fra i santi e i devoti non ha possibilità  di capire molti segreti dell’animo umano, ed è ancora analfabeta nella lettura di sentimenti che non hanno compensi immediati: l’amore della madre, l’assistenza allo sconosciuto, la silenziosa abnegazione per il bene altrui, l'elemosina nascosta... Non e vero che l’offerta votiva sia il residuo della paura pagana per il nume vendicativo. Molti sono i casi dei fedeli che offrono anche senza ricevere, come sono moltissimi i malati che tornano da Lourdes con l’animo lieto, anche senza aver ottenuto la guarigione.
Mentre si affollano le chiese nei giorni dei morti e si accendono lumini e candele, veniamo presi come da un vortice in cui presenze invisibili si alternano a visibilissime fiamme di palmare sensualità.  La civiltà dei consumi, che ha falsamente introdotto surrogati di sacramenti con i matrimoni civili, con le feste della mamma e con i minuti di silenzio, si trova nella necessita di manifestare in qualche modo con riti o con segni a doppia faccia i il suo credo nella sopravvivenza.
Il "non omnis moriar" (“Non tutto io morrò”) del poeta latino non va affidato a un semplice monumento poetico: è l’aspirazione  insopprimibile alla vita che non muore, che non può  morire, perché in ogni mio gesto, in ogni parola, in  ogni programma c’è un’impronta inequivocabile di perpetuità.


Dal libro : LUIGI TIRELLI,  La Fede dei figli di Dio. pp.54-57, ed.ARES


 
 
 

Wednesday, September 05, 2012

Dio xe sconto

La religiosità di Biagio Marin, poeta dialettale veneto, si manifesta in questi versi dove la paternità divina ci promette , al termine della nostra vita "dute le stelle d'oro de la note co' sento mila paradisi"






Me t'amo, morte vagabonda,
tu, ultimo dolor de nostra vita,
perché tu porti drita
ne la note de Dio, quela piú fonda.

Senpre tu taci e senpre tu faveli
e tu persuadi l’omo nel so passo
e tu 'i prumiti in alto novi sieli
piegandolo al trapasso.

De là del sol, tu 'i disi,
 i te dà in dote
dute le stele d'oro de la note
co' sento mila paradisi.

Una vita, de là, sensa tramonto;
comò quela de Dio la to zornada;
drio de ogni morte Dio xe sconto,
vien pur co' me, che me te porto in rada.

      

T'amo, morte vagabonda,
tu, ultimo dolore di nostra vita,
perché tu porti dritta
nella notte di Dio, la piú fonda.

Sempre tu taci e sempre parli
e persuadi l'uomo nel suo passo
 e gli prometti in alto nuovi cieli
piegandolo al trapasso.

Di là dal sole, gli dici,
 ti danno in dote
tutte le stelle d'oro della notte
con cento mila paradisi.

Una, vita, di là, senza tramonto;
come quella di Dio la tua giornata;
dietro ogni morte Dio è nascosto;
vieni pure con me, che io ti porto in rada..



Biagio Marin , Tra sera e note (1968). dal libro Poesie, edito da Garzanti

Tuesday, July 17, 2012

Dalla persona all’individuo: Pico della Mirandola.

Alle origini delle ideologie del costruttivismo e della teoria del genere


La separazione tra Chiesa e Stato si fonda sulla separazione tra il potere religioso e il potere politico (nel senso di potere di governare) e non sul convincimento che vi siano due sistemi di pensiero contrapposti e contraddittori per poter concepire il bene comune. Le regole della politica sarebbero così estranee non solo alle esigenze antropologiche obiettive ma, di conseguenza, anche alle regole morali. La creazione della legge civile così come la pratica politica rivelano sempre una concezione dell'uomo che è coerente o in contraddizione con i principi della ragione. La legge civile non è al di sopra dei punti di riferimento della morale. La dottrina sociale della Chiesa ha sempre voluto differenziare il potere politico da quello religioso. Cristo è stato il primo a formalizzarlo, mentre san Paolo e in seguito sant'Agostino e san Tommaso d'Aquino hanno cercato di sistematizzarlo. Ma la secolarizzazione estesa a tutte le realtà, iniziata con la filosofia della Riforma protestante incentrata sull'individuo e sull'interpretazione soggettiva delle Scritture, ha progressivamente favorito la dissociazione del soggetto dal senso del bene comune e della dimensione universale della legge morale in nome del libero arbitrio.

Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), esponente della filosofia sincretista, è stato tra i primi a voler fare dell'«individuo» il punto di riferimento della società. Attribuisce così a Dio il discorso con cui apostrofa Adamo: «Tutte le creature hanno una natura determinata contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai, da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai [...] perché di te stesso quasi artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che tu avessi prescelto»(5). Definendosi autonomamente, il soggetto diventa così il magistero della propria esistenza e dell'interpretazione dei testi della Parola di Dio. L'uomo del Rinascimento non appare come l'espressione di un essere donato a se stesso e di un invito a donarsi, bensì si concepisce nell'idea di un'autocreazione individuale. E significativo notare come si sostituisca il concetto di persona con quello di individuo. In questo contesto, il potere dell'uomo non è più relativo bensì autosufficiente. In Occidente, siamo passati dalla separazione dei poteri ad un potere politico autosufficiente che trova giustificazione nell'approvazione dei cittadini e, in epoca contemporanea, nel giudizio mediatico. La legge morale, istanza suprema che regolamenta tutte le leggi, è stata secolarizzata e sostituita dalla legge civile che, essendo decisa democraticamente tramite il consenso, otterrebbe valore morale. Questo movimento è sfociato in numerosi totalitarismi, come il marxismo e il nazismo, che abbiamo conosciuto in Europa e le cui ideologie - veri e propri virus intellettuali - hanno inquinato altri continenti e linee di pensiero. li fenomeno prosegue tramite le ideologie del costruttivismo e della teoria del genere (di cui alcune idee sono di origine francese) che, dopo essere state rielaborate negli Stati Uniti e in Canada, ritornano in Europa con la denominazione di french theory per poi diventare una norma internazionale. Questa viene sostenuta dalle agenzie ONU, dalle ONG, dal Parlamento Europeo di Strasburgo e dalla Commissione di Bruxelles queste ideologie raccolgono l'eredità di religioni secolari come il marxismo e il nazismo, di cui l'una si iscriveva nella logica di rovesciamento dei poteri della Rivoluzione francese del 1789 e l'altra, sempre in Francia, nell'odio genocida del regime del Terrore del 1793, durante il quale numerosi cattolici vennero derubati e uccisi. Un'ideologia, ostinatamente negazionista della realtà umana, sostituisce così un'altra ideologia, affermando che l'uomo si crea da sé.

2. L'uomo è in grado di creare o di ricevere il senso della propria esistenza?

Nell'enciclica Caritas in ventate Benedetto XVI: «Con la Lettera apostolica Octogesima adveniens del l 971, Paolo VI trattò poi il tema del senso della politica e del pericolo costituito da visioni utopistiche e ideologiche che ne pregiudicavano la qualità etica e umana. Sono argomenti strettamente collegati allo sviluppo. Purtroppo le ideologie negative fioriscono in continuazione» (n. 14). In tutto il documento il tanto Padre si interroga sull'ideologia tecnocratica che genera sistemi di comprensione dell'uomo e dell'organizzazione della società irreali e contrari sia ai bisogni umani sia al bene comune. Benedetto XVI mette in guardia contro l’utopia di un'umanità tornata all'originario stato di natura» che è un modo «per separare il progresso dalla sua valutazione morale e, quindi, dalla nostra responsabilità» (n. 14). Dietro questa idea «di un'umanità tornata all'originario stato di natura» si manifestano non solo la volontà di decostruire le relazioni economiche in nome della società di mercato, ma anche la concezione di uomo e donna, coppia, matrimonio, famiglia ed educazione dei figli. In questo modo la verità dell'uomo si troverebbe in un tutt'uno indifferenziato per garantire l'uguaglianza, svincolando csìì tale verità da tutti i modelli e le rappresentazioni, concepiti come sovrastrutture che sono in contrasto con desideri primari ed esigenze particolari. In questa concezione non ci si avvicina più all'uomo come a un dato offerto a se stesso e detentore di un'ontologia che gli è propria, bensì come a un essere che si crea e si forma autonomamente. Lungi dall'essere una vocazione che nasce da un appello trascendente e che pertanto possiede già un significato, lo sviluppo umano viene spesso rappresentato attraverso l'idea che l'uomo debba darsi un senso da solo. Però, aggiunge Benedetto XVI, l'uomo «è incapace di darsi da sé il proprio significato ultimo» (n. 16). Riprendendo l'enciclica Populorum progressio`', il Pontefice afferma: «Non vi è dunque umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto, nel riconoscimento d'una vocazione, che offre l'idea vera della vita umana» (n. 16). Altrimenti l'uomo si penserà solo e si rispecchierà in se stesso, senza alcun confronto che non sia con il proprio narcisismo e con la propria autosufficienza, visione che caratterizza lo spirito pagano delle società occidentali permeate di concezioni egotiste. I «fabbricatori di illusioni»-, secondo l'espressio-ne di Paolo VI nella Populorum progressio, «fondano sempre le proprie proposte sulla negazione della dimensione trascendente dello sviluppo, nella sicurezza di averlo tutto a propria disposizione. Questa falsa sicurezza si tramuta in debolezza, perché comporta l'asservimento dell'uomo ridotto a mezzo per lo sviluppo, mentre l'umiltà di chi accoglie una vocazione si trasforma in vera autonomia, perché rende libera la persona» (n. 17). In altre parole, se il soggetto umano sviluppa una personalità particolare, nel senso psicologico del termine, egli non è all'origine del proprio essere, che costituisce la base della propria elaborazione personale e sociale. L'uomo diventa libero, autonomo e vigoroso quando conosce l'origine del proprio essere. In questa prospettiva la fede cristiana costituisce una liberazione, perché Cristo rivela all'uomo la sua verità nell'alfa e nell'omega. Una «verità» che «rende liberi» (cfr. Gv 8,32), e questa verità, che è fra le realtà fondamentali, permette di iscriversi in uno sviluppo costante che, come ci dice Benedetto XVI, è tutt'altra cosa dal costruirsi. Ma questa verità è lontana dall'essere accolta come un dato di fatto. La verità è spesso considerata un prodotto dell'uomo, mentre questa al contrario è scoperta o ricevuta (cfr. n. 34). Ed è così che «la carità nella verità pone l'uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono» (n. 34). Non riconoscendolo, l'uomo è in malafede e si rinchiude nell'egoismo del peccato originale, per utilizzare termini religiosi. Le attuali manipolazioni biologiche per facilitare la fertilità inducono l'uomo a pensare di essere il responsabile della propria origine. Nella sua autosufficienza l'uomo vuole lottare contro il male unicamente con le proprie forze e in nome delle leggi de-mocratiche che egli stesso crea. Cerca di ignorare il si¬gnificato del peccato e del male che ferisce l'uomo, im-maginando di sconfiggerlo con leggi civili che talvolta non fanno altro che rinforzarlo. In questo modo le società occidentali si « giudizializzano» all'estremo, laddove potrebbero venire esercitate forme differenti di mediazione per risolvere litigi e violazioni. Papa Ratzinger sottolinea come l'uomo moderno miri a far coincidere il benessere materiale e sociale con la salvezza o addirittura con la felicità. Volendo salvarsi da sé, non solo si smarrisce ma soprattutto si logora nella depressione", essendo incapace di trovare la propria collocazione relativamente alla fonte del suo essere. Benedetto XVI afferma che «Dio è il garante del vero sviluppo dell'uomo, in quanto, avendolo creato a sua immagine, ne fonda altresì la trascendente dignità e ne alimenta il costitutivo anelito ad "essere di più". l'uo¬mo non è un atomo sperduto in un universo casuale, ma è una creatura di Dio, a cui Egli ha voluto donare un'a¬nima immortale e che ha da sempre amato. Se l'uomo fosse solo frutto o del caso o della necessità, oppure se dovesse ridurre le sue aspirazioni all'orizzonte ristretto delle situazioni in cui vive, se tutto fosse solo storia e cultura, e l'uomo non avesse una natura destinata a trascendersi in una vita soprannaturale, si potrebbe parlare di incremento o di evoluzione, ma non di sviluppo. Quando lo Stato promuove, insegna, o addirittura impone, forme di ateismo pratico, sottrae ai suoi cittadini la forza morale e spirituale indispensabile per impegnarsi nello sviluppo umano integrale e impedisce loro di avanzare con rinnovato dinamismo nel proprio impegno per una più generosa risposta umana all'amore divino. Càpita anche che i Paesi economicamente sviluppati o quelli emergenti esportino nei Paesi poveri, nel contesto dei loro rapporti culturali, commerciali e politici, questa visione riduttiva della persona e del suo destino. È il danno che il "super-sviluppò" procura allo sviluppo autentico, quando è accompagnato dal "sottosviluppo morale"» (n. 29). 1 Paesi cosiddetti sviluppati hanno spesso esportato le loro nuove ideologie, come quelle della teoria del genere, che hanno poi condotto all'infelicità dei popoli. Contrariamente a quanto affermato dalla teoria del genere, il senso dell'esistenza si riceve e va riscoperto nella comprensione della realtà oggettiva e non in sovrastrutture costruite in un a priori di quella che potrebbe essere l'esistenza umana. A questo punto della nostra riflessione è necessario porsi una domanda per conoscere la verità del significato dell'uomo: si tratta di una verità costruita alla stregua dell'ideologia costruttivista e della teoria del genere?
da TONY ANATRELLA, La teoria del “gender” e l’origine dell’omosessualità”. Pp. 17-21.Ed.SAN PAOLO


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5. Discorso sulla dignità dell’uomo (1486)
6) cfr. Paolo VI, Enciclica Populorum progressio, dei 26 marzo 1967. Ibid., n. 11.
8) Cfr. Tonv Anatrella, Non a la societè depressive (“No alla società depressiva”), Champs-Fiammarion, P'aris 1993. Un'opera sempre attuale in cui l’ autore sottolinea la deriva della teoria del genere, che neutralizza l’uomo e il padre, presentando i quat¬tro sintomi della depressione sociale: il divorzio, l’omosessualita, la tossicomania e il suicidio.