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Friday, May 21, 2010

J.R.R. TOLKIEN : 40 anni del "Signore degli anelli"

Sono passati 40 anni dalla prima edizione completa  del "Signore degli anelli" che la casa editrice  RUSCONI ha pubblicato nel 1970.
Per ricordare questo libro fenomenale e l'intera opera di Tolkien, è riprodotta la poesia MITOPEIA, in cui è compresa tutta la poetica dell'autore.
"Tolkien parla al tuo cuore. Ti parla e rimani ad ascoltarlo come se ancora potesse dirti qualcosa. Tolkien costruisce mondi con le parole e tu lettore vai a far parte della storia di quei mondi, attraversando i tortuosi sentieri che si biforcano al di là del velo della realtà. Tolkien svela le radici sepolte nel profondo che innervano in te la memoria del mito. E così tu diventi più saggio e, insieme, più coraggioso. La poesia Mitopeia traduce in strofe quest’irraggiungibile vocazione." da:J.R.R. TOLKIEN - Creatore di miti.. Articolo scritto da Guardian0 il 16/03/2003
http://www.settimatorre.com/
 
MITOPEIA


Per chi ha definito i miti menzogne e dunque inutili,
sebbene “sospirati con tremor d’argento”.
Se vedi un albero lo chiami col suo nome
(dici che è un “albero” più o meno “evoluto”);
con passo grave esplori i continenti
d’un globo tra i tanti sconosciuti:
cos’è una stella? Materia incandescente
dai numeri costretta ad orbitare
tra il Vuoto e i freddi reggimenti
ove muoion gli atomi ad ogni istante.

Per quel Voler che chiama e ci muoviamo,
che solo vagamente comprendiamo,
muove anche il resto, e scorre il Tempo
da inizi oscuri a incerto scopo;
e come in pagina affollata
di segni e miniature d’ogni tipo,
stuol sterminato di forme appare,
qual terra, qual splendida, qual dolce e qual fatale
ma ognuna aliena, senonché parente
di un remoto Origo: fuscello, uomo, pietra e fonte.
Iddio creò macigni di pietra, alberi di legno,
le stelle astrali e il suol terreno
e questi uomini omuncoli che vanno
con nervi che la luce e il suono sanno.
Il mare mosso, il vento tra le fronde,
il prato verde, la mucca ruminante,
il tuono e il lampo, l’uccello che s’innalza,
la bava strisciante nella palta,
ogni cosa si registra e poi resta
nelle spire cerebrali della testa.

Ma “albero” puoi dire pel nome che fu dato
da chi seppe dispiegare, in tempo andato,
l’alito parlante del linguaggio, eco
lontana e vaga immagine del mondo
ma non un disco né una fotografia,
divinazione piuttosto, giudizio e allegria,
risposta di coloro che senton nel profondo
movimenti vicini al respiro del mondo,
alla vita e morte di alberi, bestie e stelle:
da prigionieri liberi sotto cupe sbarre
che scavaron nel futuro dal di dentro
per trovare la vena dello spirito nel senso.
Grandi poteri scopriron in se stessi
e guardando indietro videro i folletti
affollare in segreto le fucine della mente
tessendo notte e luce per la gente.

Le stelle non scorge chi prima non le vede
di vivo argento, d’improvviso esplose
come fior di fiamma sotto canto antico,
il cui sol eco ogni altri spartito
da allora insegue. Non vede il firmamento
chi non scorge la tenda ingioiellata,
di mito intessuta, dagli elfi cantata,
la terra non scorge chi non vede un grembo.

Il cuor dell’uomo non è confusionario
ma trae sapienza dall’unico Saggio,
e lo rammenta. Seppur caduto addietro
l’uomo non è perduto ancora, né senza metro.
Conosce la dis-grazia ma è ancor tale
e serba i brandelli del suo manto regale
il suo dominio per atto creatore:
l’Opera grande che non può adorare,
l’uomo subcreatore per cui la luce
da un solo Bianco si rifrange
in mille sfumature combinate,
forme da mente e mito tramandate.
Se ogni anfratto del mondo di elfi
e folletti colmassimo, dèi e dimore
formando di tenebre e splendore,
se dei draghi evocassimo il seme, ne è nostro il diritto
(e la scelta dell’uso). Tal diritto ancora vale.
L’uomo esiste e fa per tal legge reale.

Invero tentiamo noi “sognatori”
di ingannare i nostri timidi cuori
e debellare gli orribili Fatti!
Da dove vengono i sogni, da dove i misfatti e come
immaginare il bello e il nefando?
Sognare non sempre è vanità, non sempre invano
vorremmo aver ragione di un dolore vero,
che non si vuol desiderare pel suo peso;
son senza grazia e resistenza e resa;
e l’esistere del Male è certa offesa.
Beati i cuori timidi che il male odiano,
che pur tremanti gli serran l’uscio in fronte;
non cercan tregua, e in un cantone armato
in stanza nuda su un telaio andato
intesson tele che il dì lontano indora
là ove impera l’Ombra eppur sperare s’osa.

Beati i Noè, che per fermo intento
armano fragili e lente prore,
per venti avversi a diversa ombra,
voce d’un porto che per fede s’adombra.

Beati i creatori di leggende e rime
di cose introvabili nelle trame
del tempo. Che la notte non hanno scordato
scegliendo il piacere organizzato,
di un prospero indorato isolotto
a dannarsi per il bacio di una Circe
(peraltro imitazione fatta in serie
lusinga di scarto per chi già si lusinga).
Le isole videro da lungi, e ben altre malie,
e chi li ode ancor sta sul chi vive.

Da lontano scorsero anche Morte e sconfitta
senza però rinunciare alla vita,
intonando sovente sulle lire vittoria
accendendo nei cuori le fiamme e la gloria,
rischiarando il Momento e l’oscuro Passato
con la luce di un sole mai contemplato.

Vorrei poter sognar coi trovatori
e muover l’intangibile su corde tremanti
navigare ci marinai sull’acque profonde
che tagliarono esili travi su irte sponde
e ora viaggian verso meta vaga ed errante
e han già superato il mitico Occidente.
Vorrei subire assedio coi giullari
che serban un rifugio segreto ove portare
un oro impuro e scarso da coniare
nell’immagine sfocata di un lontano re
o da intessere nell’emblema arcano
del vessillo di un invisibile sovrano.

Non marcerò in riga con le vostre scimmie
savie erette ed evolute. Innanzi a loro s’apre
lo scempio nero a cui sono condannate
a men che Dio arresti un tal progresso
che sol continua per lo stesso verso,
sterile rotta, e solo il nome muta.
Non marcerò per strade spente e piatte
per formule precise, frasi fatte
nel mondo immutabile ove chi fa
con l’arte di creare nul parte ha.
Non chinerò il capo al Dominio di Ferro
interrando il mio piccolo scettro d’oro.

In Paradiso, lo sguardo forse passerà
dal Giorno eterno al dì da esso
illuminato per ritrovare, nel vero,
l’aspetto del Vero rispecchiato.
Vedrà allora, in Terra Benedetta,
che ogni cosa è ugual ma liberata:
la Salvezza non cambia e non distrugge
giardino e giardiniere, giovane e gioco.
Solo il Male non sarà perché non sta
nell’immagine divina ma nello sguardo,
e non nel suono, ma nella voce perversa.
In Paradiso finirà l’esilio
e se le loro storie narreranno,
e certo, poiché son vivi, inventeranno,
i poeti, di fiamme incoronati,
ben sapranno scegliere e cantare
per sempre con certezza dal Tutto originale.

Tratto da ALBERO E FOGLIA J.R.R.Tolkien