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Saturday, April 14, 2012

La risurrezione è il fondamento del mondo vero

Romano Guardini nella sua splendida opera          "Il Signore" continua a suggerirci riflessioni profonde sulla figura di Cristo

Gesù si colloca rispetto al mondo in maniera diversa da noi. Diversa a confronto dell'uomo che è un puro uomo. Diversa nei riguardi di Dio da quella di un credente. Diversa quanto alla propria esistenza, al vivere e al morire, da quella di tutti noi. Già qui sta il fondamento su cui poggia la risurrezione.
Qui siamo posti davanti a un aut-aut, che è radicale. Finché prendiamo come parametro noi stessi: la nostra esistenza umana, quale essa è; il mondo, come sussiste per noi; la modalità in cui procedono il nostro pensare e sentire - e da quella prospettiva giudichiamo Gesù Cristo, allora siamo costretti a considerare la fede nella risurrezione come un risultato di determinate scosse religiose, come un prodotto della formazione della comunità nei suoi inizi, ma ciò significa come illusione, inganno.
E allora si riduce a una questione di coerenza la misura della rapidità con cui la si rigetta, insieme con i suoi presupposti e le sue conseguenze, e si cerca di lavorare all'enucleazione di un "cristianesimo puro". Esso naturalmente non sarà molto più che un'etica e una pietà religiosa assottigliate... Oppure ci si fa chiaro che cosa esige la figura di Cristo, cioè la fede. Noi riconosciamo che non è venuta per portarci nuove conoscenze ed esperienze nell'ambito del mondo, ma per liberarci dall'incantesimo del mondo. Noi ascoltiamo l'esigenza che ci pone e le obbediamo. Accogliamo i criteri, a norma dei quali si deve pensare a Cristo, dalla sua stessa figura. Siamo dispo¬sti ad apprendere che egli non fa avanzare il mondo con valori e forze più nobili o più interiori, ma che con lui ha inizio l'esistenza nuova. Attuiamo quella rotazione dell'asse, che si chiama appunto "fede" e secondo la quale non si riflette su Cristo movendo dal mondo, ma, partendo da lui, su tutto il resto.
Allor non diciamo più: nel mondo non si verifica il rivivere di un morto, quindi il messaggio della risurrezione è un mito  ma  Cristo è risorto, dunque la risurrezione è possibile e la sua risurrezione è il fondamento del mondo vero.
Nella risurrezione si rivela quanto fin dall'inizio si trovava nell'essere vero di Gesù, del Figlio dell'uomo e del Figlio di Dio. Quando riflettiamo sulla nostra esistenza propria, ci si presenta come un movimento, che esordisce nell'oscurità dell'infanzia, più o meno ampiamente a ritroso a seconda della forza della memoria; poi sale, giunge a un culmine, si curva, per sprofondare da ultimo, con un declino più o meno compiuto o interrotto bruscamente. Quest'arco della mia esistenza ha inizio nella nascita e termina nella morte. Dopo la discesa dell'arco si stende di nuovo la tenebra, al dì là della quale porta un indeterminato sentimento di speranza... In Gesù Cristo non è così. L'arco dell'esistenza per lui non inizia nella nascita, ma s'inarca a monte d'essa nell'eternità. «Prima che Abramo fosse, io sono!» (Gv 8, 58). Non sono parole di un mistico cristiano del secondo secolo, come si è affermato, ma espressione immediata di ciò che viveva in Cristo. E l'arco non sprofonda nella morte, ma, portando con sé la sua intera vita umana, prosegue attraverso l'eternità: «Lo uccideranno e il terzo giorno risusciterà» (Mt 17, 23). La coscienza dell'esistenza che ha Cristo possiede una profondità e un'ampiezza totalmente altre, un rappor¬to con la morte totalmente altro dalla nostra. La morte nella sua coscienza è soltanto un passaggio, per quanto colmo della più grave importanza. «Non era necessario che Cristo soffrisse tutte queste cose, per entrare così nella sua gloria?», chiede il Signore al discepoli sulla via verso Emmaus (Lc 24, 26)... La risurrezione realizza ciò che egli ha recato in sé già da sempre. Chi rifiuta la risurrezione, rifiuta con azione retrospettiva anche tutto ciò con cui essa è strettamente unita nell'essere e nella coscienza di lui. Quanto poi ancora rimane, non val più la pena di credere con una fede.
R. Guardini, Il Signore pp 538-539