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Thursday, August 12, 2010

“VIVERE SECONDO LA DOMENICA” (Ignazio di Antiochia)

Sempre dal bellissimo volume "Il Dio vicino"  edito dalla San Paolo che raccoglie diversi scritti dell'allora card. Ratzinger riportiamo queste righe che sottolineano l'importanza della Domenica e dell'eucarestia ricevuta in grazia di Dio.

L'ultima cena di Gesù non fu uno dei tanti pasti che egli consumò con «i pubblicani e i peccatori». Egli la sottopose alla forma fondamentale della Pasqua, la quale afferma che tale cena deve essere celebrata nella comunità domestica della famiglia. Per questo l'ha celebrata con la sua nuova famiglia, con i Dodici; con coloro a cui lui aveva lavato i piedi, che con la sua parola e con questo bagno di perdono (Gv 13,10) aveva preparato a ricevere la comunione del sangue con lui, a diventare con lui un solo corpo. L’eucaristia non è, essa stessa, il sacramento della riconciliazione, ma presuppone questo sacramento. Essa è il sacramento dei riconciliati, a cui il Signore invita coloro che sono divenuti una cosa sola con lui; indubbiamente, essi restano pur sempre deboli e peccatori, ma sono coloro che gli hanno dato la mano e sono divenuti la sua famiglia. Per questo fin dall'inizio il discernimento precede l'eucaristia. Lo abbiamo già sentito, con toni drammatici, dall'apostolo Paolo: chiunque se ne ciba in modo indegno, mangia e beve la propria condanna, perché non riconosce il corpo del Signore (1Cor 11,27ss). La dottrina dei dodici apostoli, uno degli scritti apostolici più antichi, risalente all'inizio del secolo II, riprende questa tradizione apostolica e fa pronunciare al sacerdote, prima della distribuzione del sacramento, queste parole: «Se uno è santo, venga; se non lo è, si penta!»(*). L’eucaristia - ripetiamolo - è il sacramento di coloro che si sono lasciati riconciliare dal Signore, che sono divenuti la sua famiglia e che si sono, in tal modo, affidati alle sue mani. Per questo esistono con-dizioni per accedere all'eucaristia; essa presuppone che si sia già entrati a far parte del mistero di Gesù Cristo.

Ma anche il nesso con i pasti consumati quotidianamente dai discepoli con Gesù - l'altra delle due ipotesi citate - non risulta convincente, essendo noto che, all'inizio, l'eucaristia veniva celebrata la domenica; essa si distaccava quindi proprio dall'abitudinarietà del quotidiano, ma anche dalla modalità solita del pasto consumato in comune. Il vero punto di partenza per dare forma a quanto richiesto da Gesù fu offerto dalla risurrezione. Fu essa, infatti, a rendere possibile che egli fosse realmente presente al di là dei limiti della sua corporeità terrena e realmente potesse essere partecipato. Ma la risurrezione era avvenuta il primo giorno della settimana, che per gli ebrei era il giorno della creazione del mondo. Per i discepoli esso divenne il giorno in cui aveva avuto inizio un mondo nuovo, quello in cui con la vittoria sulla morte trovava principio la creazione nuova. Era il giorno in cui Gesù Cristo, come risorto, era entrato nuovamente nel mondo. In tal modo aveva fatto del giorno della creazione il suo giorno, il «giorno del Signore». Così esso si chiama già nel I secolo; nel libro dell'Apocalisse (1,10) è indicato con questo nome. E già negli Atti degli apostoli (20,7) e nella Prima lettera ai Corinzi (16,2) troviamo testimoniato questo giorno come il giorno dell'eucaristia. Il Si-gnore era risorto il primo giorno della settimana ; questo giorno era ora divenuto, settimana per settimana, il giorno in cui si faceva memoria della novità che era accaduta. I discepoli non dovevano quindi limitarsi a guardare indietro, per ricordare qualcosa di passato: il Risorto vive; per questo il giorno della risurrezione era di per se stesso il giorno della sua presenza, il giorno in cui egli li chiamava a raccolta, in cui essi si ra-dunavano intorno a lui. La domenica come giorno della risurrezione divenne così il punto di partenza inte-riore, il luogo interiore per la celebrazione dell'eucaristia della Chiesa nascente. A partire da qui essa ricevette la sua forma. Proprio in questo momento essa viene tratta dal terreno della Pasqua ebraica e trapiantata nel contesto della risurrezione: essere festa della risurrezione, è questa la sua vera essenza. Già all'inizio del Il secolo Ignazio di Antiochia definiva i cristiani come coloro che «vivono secondo la domenica»', che vivono, cioè, a partire dalla risurrezione, dalla sua presenza nella celebrazione eucaristica. Era così posto il Fondamento per la nuova forma della celebrazione eucaristica. Dopo il pasto terreno, i credenti si radunano per celebrare, nel ringraziamento e nella lode, la presenza della morte e risurrezione del Signore. Dall'ultima cena, secondo una linea di necessità interna, è derivata una festa che implica la gioia. Ancora una volta poi sappiamo dagli Atti degli apostoli che i cristiani celebravano l'eucaristia con canti di lode, e dal V capitolo della Lettera agli Efesini (5,19; cfr. anche Col 3,16) ma anche da molti altri passi neotestamentari  che essi glorificavano il Signore con salmi, inni e cantici.

Con questo trapianto nel nuovo contesto della Risurrezione, senza la quale l'eucaristia sarebbe solo ricordo di un distacco senza ritorno, emersero due novità: adorazione e canto di lode, vale a dire il suo carattere cul-tuale, insieme con la gioia per la gloria del Risorto.

Tuttavia, in tal modo, la forma eucaristica, la forma della liturgia della Chiesa, non era ancora definita del tutto. Dobbiamo riflettere sul fatto che il culto giudaico prevedeva due partì: uno era il culto sacrificale nel tempio, dove venivano presentate le diverse offerte secondo le prescrizioni della legge. Accanto a questo cul-to nel tempio, che era e poteva essere solo a Gerusalemme, si sviluppò sempre più un secondo ambito cul-tuale: la sinagoga, che poteva essere in qualunque luogo. In essa veniva celebrata la liturgia della Parola, ve-niva letta la Sacra Scrittura, venivano recitati i Salmi, si lodava insieme Dio, si spiegava la Parola, si levavano preghiere a Dio. Dopo la risurrezione di Gesù, i suoi discepoli cessarono di prendere parte al culto nel tempio. Non potevano più farlo, dato che il velo del tempio era squarciato, ovvero che il tempio era vuoto. Il tempio non era più l'edificio di pietra, ma il Signore, che si era aperto al Padre come il tempio vivente e che, in tal modo, aveva manifestato il Padre all'umanità. Al posto del tempio subentra l'eucaristia, poiché Cristo è il vero agnello pasquale; in lui si è compiuto tutto quello che era accaduto nel tempio. D'altra parte, se è pur vero che i discepoli, per questa ragione, non partecipavano più ai sacrifici cruenti del tempio, ma, in loro vece, celebravano il nuovo agnello pasquale, continuarono tuttavia, proprio come prima, a partecipare alla liturgia nella sinagoga. La Bibbia di Israele era infatti la Bibbia di Gesù Cristo.

Essi sapevano che tutta la Sacra Scrittura - la Legge e i Profeti - parlava di lui; hanno quindi cercato di leggere questo santo libro dei padri insieme con Israele, ma a partire da Gesù, per aprire così il cuore di Israele a Gesù stesso. Hanno continuato a pregare i Salmi insieme con gli israeliti, per pregarli così insieme con Gesù e renderli manifesti nella Nuova Alleanza, comprendendoli, cioè, a partire da lui. Allo stesso tempo, però, possiamo seguire nei testi del Nuovo Testamento quel tragico percorso, in cui, gradatamente, andò in pezzi anche quanto rimaneva questa unità con Israele. Non si riuscì a portare tutto Israele a leggere la Bibbia come parola di Gesù Cristo e per Gesù Cristo. La sinagoga si chiuse rapidamente a una tale interpretazione della Sacra Scrittura e verso la fine del primo secolo la separazione era ormai compiuta. Nella sinagoga non era più possibile comprendere la Scrittura con Gesù.

A questo punto Israele e la Chiesa procedono l'uno accanto all'altra, separatamente. La Chiesa era divenuta fino in fondo una realtà propria. Dato che ora non poteva più edere parte alla liturgia della parola di Israele, essa dovette svilupparla in proprio. Ciò significò anche di necessità, le due parti della liturgia sino ad allora separate arrivassero a incontrarsi e a compenetrarsi: la liturgia della parola si unisce a quella eucaristica ; ora, nel momento in cui essa ha trovato la forma perfetta di un culto cristiano definito e la Chiesa si presenta perciò sino in fondo come Chiesa, questo insieme è spostato alla domenica mattina, nell'ora della risurrezione; la logica della risurrezione giunge al suo scopo. Con ciò era giunta a compimento la forma essenzialmente cristiana quale la incontriamo ancora oggi nelle’Eucarestia della Chiesa.



*) Didaché, X, 6.



Joseph Ratzinger, Il Dio vicino, pagg. 59-63. Ed. SAN PAOLO