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Saturday, June 11, 2011

Storie dalla NBA

Dwyane Wade è già stato in paradiso ed è già stato all’inferno. Sul tetto del mondo, campione NBA, il 20 giugno 2006, giorno di gara-6 tra Miami e Dallas. E sul fondo della Lega meno di due anni dopo, il 16 aprile 2008, quando i suoi Heat chiudono il campionato con un rara vittoria su Atlanta – solo la 15esima dell’anno – inutile per evitare la vergogna di essere la 30esima franchigia su 30 della NBA. Ma Dwyane Wade era già stato in paradiso e all’inferno prima. Molto prima. L’inferno l’aveva conosciuto a 6 anni, con una pistola puntata alla sua testa, durante un raid della polizia di Chicago nella sua casa nel South Side. Gli agenti non erano certo lì per lui, ovvio. Ma per sua madre sì. Ed ecco perché in paradiso Dwyane Wade ci si era già sentito l’8 marzo 2003, nell’ultima gara interna della sua carriera universitaria a Marquette, una vittoria contro Cincinnati buona per il primo titolo della Conference USA del suo ateneo. Il successo sportivo, quel giorno, era la parte meno importante. Tra il pubblico, infatti, a celebrare il titolo anche mamma Jolinda. Normale, direte voi? Non così normale, dato che la signora era uscita di prigione solo 3 giorni prima. Quell’8 marzo – finalmente libera dopo 14 mesi di reclusione, finalmente riunita al suo “bambino” – Jolinda Wade era ovviamente in paradiso. Ma anche per lei, soprattutto per lei, vale quanto detto per il figlio Dwyane: aveva già conosciuto l’inferno, prima. E che inferno. “Ero una persona disgustosa anche a me stessa”, le parole che usa per descriversi. Alcool. Droga. Il primo arresto nel 1992. Cinque mesi dentro. Poi altri due arresti. E ancora 23 mesi dietro le sbarre. Nel 1997, fuori per un permesso, decide di non ritornare in carcere e diventa una fuggitiva, a tutti gli effetti. Per quasi cinque anni. Fino al 14 ottobre 2001. Fino a un mattinata trascorsa in chiesa.

Ora sappi questo: gli ultimi giorni saranno molto difficili, perché gli uomini saranno egoisti, presi dal denaro, vanitosi, arroganti, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza rispetto per ciò che è sacro, senza sentimenti, sleali, calunniatori. Saranno incapaci di autocontrollarsi, crudeli e nemici del bene. Tradiranno i propri amici; saranno insensati, pieni d’orgoglio; preferiranno i piaceri della vita a Dio; conserveranno l’apparenza esterna della fede, ma ne rigetteranno la potenza .

Sono questi versetti biblici che cambiano la sua vita. Decide di smettere di bere e di drogarsi. E decide di tornare in cella. Volontariamente. Per quei 14 mesi che la rendono nuovamente libera, per sempre, in tempo per vedere il figlio iniziare la corsa verso il successo. Il titolo della Conference USA. Le Final Four NCAA. La quinta scelta assoluta al Draft 2003. E poi il titolo di campione NBA, in quel 20 giugno 2006. Il primo. Forse non l’ultimo. Perché oggi Dwyane – con i suoi nuovi “amici” LeBron e Chris – punta ancora al paradiso, quello NBA, mentre mamma Jolinda – ordinata pastore nel 2007 – punta dritto al Paradiso, quello vero.

Editoriale rivista NBA, giugno 2011 di Mauro Bevacqua

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