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Thursday, February 06, 2020

LA MIA STAGIONE NO

La biografia degli anni universitari  di Pat Conroy,  play maker nel campionato di basket universitario americano, prima di diventare uno scrittore conosciuto in tutto il mondo, Pat Conroy ricorda la stagione universitaria che ha segnato la sua vita, e l'ultimo campionato di basket a cui ha partecipato come giocatore tra il 1966 e il 1967. La solidarietà della squadra, i dissidi con l'allenatore dispotico, e soprattutto i contrasti con il padre violento, si rivelano altrettante tappe di un percorso di formazione aspro ma necessario, il cui senso solo oggi, dopo trentanni, appare chiaro.


LA MIA STAGIONE NO
La domenica mattina, i cìnque cattolici della squadra si alzarono di buon'ora per recarsi alla messa nella St.Louis  Cathedral.   Conroy, DeBrosse, Bornhorst, Connor e Kennedy... sembra quasi di udire i passi strascicati degli immigranti venuti dall'Irlanda, dalla Germania e dalla Francia, in quel quintetto di freschi nomi  americani. Il fatto che ogni domenica noi insistessimo per recarci a messa sconcertava Mel Thompson, che spesso doveva apportare varianti ai nostri itinerari per accontentare i suoi ragazzi cattolici. In fondo credo che Mel approvasse il nostro attaccamento alla fede e lo considerasse una delle tante forme che la disciplina poteva assumere. Quando feci la comunione, quella mattina, ringraziai Dio per la partita che mi aveva concesso di giocare contro Loyola. Quell'anno, i miei rapporti con Dio erano in presa diretta, personali e conversevoli per natura.  Io rischiavo di perderlo e volevo che Egli mi aiutasse. Benché ci fosse un che di maestoso nel suo silenzio, Egli era finalmente riuscito a concedermi una buona partita. Lo consideravo un segno positivo.
Per tutta la stagione, io avrei aspettato dei segni della Sua grandezza e della Sua  sollecitudine nei miei confronti. Pregavo molto e solo più tardi mi resi conto che quel fiero pregare fu un modo per trovare prologo e introduzione alla mia scrittura. Ciò mi colmò sia di stupore sia di sollievo. Quando credevo che Dio mi avesse abbandonato, scoprii invece che mi aveva semplicemente dato una voce diversa per lodare l’inesauribile bellezza del creato. (pagg.251-252)

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